Il Parlamento rinnova la fiducia a Conte
Tira un sospiro di sollievo il governo Conte II: Camera e Senato hanno confermato la fiducia nell’esecutivo. Tuttavia, l’uscita di Italia Viva dalla maggioranza che lo sostiene esplicitamente (non vota contro ma nemmeno vota a favore) rende particolarmente instabile il quadro politico. Inoltre, la stessa maggioranza appare sempre meno coesa e da più parti arrivano richieste per un cambio di passo. Cosa succederà quindi nelle prossime settimane? Nonostante il voto, il requiem per il Conte II sembrerebbe già cominciato.
Con 322 voti favorevoli alla Camera e con 156 voti favorevoli al Senato, il governo Conte II ha ottenuto nuovamente la fiducia del Parlamento. Il successo numerico è da ascriversi principalmente al presidente del Consiglio, che ha scelto una strategia forse poco popolare, ma evidentemente piuttosto efficace, di convincimento e “reclutamento” dei parlamentari. Non si spiegano altrimenti i contenuti dei discorsi ai due rami del Parlamento: non una parola sui numeri dell’emergenza sanitaria ed economica o su come uscirne, ma un riferimento esplicito alla necessità di riformare in senso proporzionale la legge elettorale. Un messaggio diretto a deputati e senatori in quanto personale politico in cerca di conferme, non certo un appello alla nazione o ai suoi rappresentanti. Che il successo numerico però non sia automaticamente anche un successo politico sembra esserne ben conscio lo stesso presidente del Consiglio che, infatti, ha subito informato il Colle delle sue strategie future che prevedono, sembra, la formazione di un gruppo parlamentare intorno alla sua persona. Ma che senso ha questa operazione? Per capirlo, bisogna prima riflettere sulla differenza tra consenso numerico e consenso politico.
“1 vale 1” solo in matematica
Nonostante la maggioranza aritmetica, i calcoli della politica si basano su valori ben diversi. Ragionando sui numeri, infatti, potremmo definire la votazione del 19 gennaio al Senato tutt’altro che stupefacente, anzi, addirittura un gran successo. Si può infatti guardare a come si è “evoluta” la fiducia del Parlamento nei confronti del governo Conte per capire se è cresciuta o diminuita nel tempo. Nella tabella 1 si riportano le votazioni su cui il governo ha posto la questione di fiducia negli ultimi sei mesi e, per memoria, le votazioni di fiducia nel momento della presentazione al Parlamento del governo Conte I e il governo Conte II.
Dal punto di vista matematico, le cifre sono confortanti per il governo Conte. Tuttavia, è evidente che quando il consenso al Senato resta sotto la soglia di maggioranza assoluta (161) quello che accade fuori dalla maggioranza diventa molto rilevante. Fino a dicembre questa preoccupazione non esisteva. Ma se il 19 gennaio Matteo Renzi avesse deciso di votare “no” invece che astenersi, la votazione sarebbe risultata in un pareggio, se non addirittura in una sconfitta ove il senatore Ciampolillo non fosse stato ammesso a votare. Le cifre della politica danno, dunque, molto meno respiro a Conte di quanto faccia la matematica.
Il partito di Conte
È proprio per questo che il presidente del Consiglio sta lavorando – sembra – alla formazione di un suo gruppo parlamentare. Non che creare partiti in Parlamento sia sempre un’operazione felice. Ma un nuovo partito, dato da alcuni sondaggi già oltre il 15 per cento, offre una prospettiva sicura ai transfughi, nonché ai parlamentari che appartengono a partiti piccoli. Per i primi, approdare in un partito con un buon consenso significa non dover rinunciare necessariamente al proprio scranno in future elezioni dopo il “tradimento” alla lista di appartenenza. Sui secondi, invece, indipendentemente dalla legge elettorale che sarà usata, grava un forte pericolo di esclusione dopo la riduzione dei seggi parlamentari, in quanto le soglie implicite di accesso saranno più alte. Cosa di meglio quindi di un partito grande, in cerca di senatori (soprattutto) e deputati? Infine, un gruppo costituito sotto la sua diretta influenza darebbe al presidente del Consiglio un maggior controllo del Parlamento. Per capire quanto la cosa sia importante, basti pensare alle burrascose esperienze di Romano Prodi, per due volte leader senza un partito, o più di recente di Enrico Letta.
Due prospettive diverse per governo e Parlamento
L’operazione avrà successo? Probabilmente no. Innanzitutto, i deputati e senatori interessati a entrare nel nuovo partito sembrano ancora troppo pochi per dare alla nuova formazione politica la consistenza necessaria per formare un gruppo parlamentare. Secondariamente, nonostante le apparenti aperture di alcuni esponenti di Italia Viva negli ultimi giorni e benché tutto sia possibile in politica, risulta poco probabile che Conte sia disposto a riaccogliere Renzi nell’alveo della sua maggioranza. In aggiunta, l’azione di governo, negli ultimi mesi e ancor di più nelle ultime settimane, non sembra particolarmente vivace. Dopo il sì al referendum sul taglio dei parlamentari, il Movimento 5 Stelle sembra aver esaurito l’iniziativa politica; i dissapori interni per la gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnnr) sono cominciati anche prima che i malumori di Renzi si manifestassero, il Partito democratico continua a essere molto dubbioso sulla rinuncia al Mes e anche la gestione dell’intelligence da parte del presidente del Consiglio ha lasciato qualche strascico.
Tuttavia, anche se la vita residua del Conte II sembra ormai molto breve (settimane? mesi?), lo stesso non si può dire di quella del Parlamento. Ci sono almeno due elementi che spingono a credere che i parlamentari non si arrenderanno tanto facilmente alla possibilità di nuove elezioni. Il primo è la certezza, per molti, di non venire più rieletti. La seconda, invece, è la prospettiva di giocare un ruolo da protagonisti nella scelta del prossimo Presidente della Repubblica. Per tenere in vita l’attuale legislatura, al momento, qualunque alternativa (governo del presidente, larghe intese, nuova maggioranza politica) appare ugualmente probabile.
Paolo Balduzzi, da www.lavoce.info