La sfida alla violenza viene da Nazareth

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Un mondo di violenza. Sembra che la forza fisica sull’altro simile sia la prerogativa dei nostri tempi; ulteriore dimostrazione l’abbiamo riscontrata nelle ultime notizie che ci sono arrivate sul tavolo dalle agenzie. Ne selezioniamo alcune.

Violento è il mondo del lavoro, in grande fermento ed ebollizione: Rinaldini, segretario della Fiom, stava tenendo il discorso in piedi sul tettuccio di un furgoncino a Torino, quando è stato aggredito da un gruppo di facinorosi che successivamente si è capito appartenere al sindacato autonomi; gesto molto significativo, esasperato (credo) dalla presenza dei giornalisti e fotoreporter che lo hanno diligentemente ripreso (mi chiedo, se non ci fossero stati i mass media, la reazione del gruppo autonomo sarebbe stata la stessa?).

Esibizionismo puro, condito da violenza si è avuto a Mosca in occasione del contestatissimo Gay Prade che doveva aver luogo e poi invece vietata la manifestazione a causa della concomitanza con un evento musicale (una specie di San Remo russo); c’è violenza negli atti inconsulti della mente, nell’esplosioni di odio a lungo covato nell’animo che spinge una donna di 24 anni (originaria della Lettonia) a accanirsi sulla figlia di 17 mesi riducendola in fin di vita (e poi morta); oppure l’ennesimo fatto di cronaca consumato alla Spezia dove sono morte, a seguito degli effetti causati da un incendio appiccato in un appartamento da un uomo, nonna e nipotina.

Malesseri che sono diventati il pane quotidiano del nostro tempo, conditi con dovizia di particolari dai mezzi di comunicazioni, in una sorta quasi di catarsi e di purificazione del grande male invece che attanaglia l’umanità e con il quale non si può far nulla: la morte. Per vincere la morte, siamo disposti a far tutto: scendere a qualsiasi compromesso, sfidare l’impossibile, pur di avere un quarto d’ora di notorietà e vincere con la fama, la notorietà quel destino che ci vorrebbe consegnati altrimenti all’oblio.

E la regione martoriata da secoli da vendette, faide, odi razziali e chi più ne ha ne aggiunga è proprio la Palestina: terra tormentata, senza pace, senza armonia, dove i bambini crescono imparando prima che cos’è un fucile piuttosto che scrivere e far di conto. Eppure, qualcosa quaggiù è avvenuto.

Si diceva che Benedetto XVI era andato in Terra Santa senza lasciare segno, che non aveva dato quell’afflato universale di amore e di pace che era invece riuscito al papa polacco; si diceva che aveva ripetuto i suoi gesti, ricalcato le sue orme senza produrre niente di nuovo rispetto a quello che già si era detto; eppure un gesto l’ha compiuto che è rimasto coma una nitida immagine nella nostra mente: quello di essersi messo in mezzo tra un rabbino e un imam, invitandoli a prendere parte alla sua preghiera. “Ha esortato tutti – ha scritto Lorenzo Mondo sulla Stampa di oggi – a respingere la tentazione dell’odio e della violenza, la manipolazione della fede religiosa per fini politici. Non occorre essere credenti per consentire a queste esortazioni che ogni uomo in buona fede trova ragionevoli. Da chi si propone come messaggero di pace nella martoriata terra di Gesù e si trova, per fortuna, sprovvisto di armate (come argomentava Stalin) e di poteri decisionali non si può francamente aspettarsi di più.” Un bell’insegnamento, oggi più che mai vivo, una rotta da seguire, una strada da battere se si vuole sconfiggere questo male rappresentato dalla violenza.

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