Egregio Direttore,
sono un’insegnante e da 15 anni sono a contatto con gli studenti e con le problematiche riguardanti l’apprendimento, oltre ad avere esperienza come madre di un figlio di 14 anni.
Sono rimasta sorpresa dalle ultime iniziative istituzionali riguardo il disegno di legge sulla dislessia.
Nel disegno di legge viene sancito in modo perentorio e inconfutabile che la difficoltà di lettura o di calcolo, e gli errori nello scrivere, sono considerati disturbi dell’apprendimento di origine costituzionale che persisteranno per tutta la vita. Per questo vengono attivate modalità di insegnamento specifiche, come si fa con i portatori di handicap, tutto ciò sotto la supervisione della neuropsichiatria infantile.
Ho cercato invano dei riscontri scientifici riguardo tali diagnosi e purtroppo ho trovato solo teorie soggettive, opinioni e conclusioni su ipotesi di prestazioni medie che gli alunni dovrebbero ottenere. Chi non rientra in queste ipotetiche “prestazioni medie” concordate, viene diagnosticato dislessico, discalculo, disgrafico ecc..
Nella mia esperienza ho visto un’infinità di difficoltà negli studenti e grazie al mio intuito, desiderio di aiutare, e grande pazienza ho scoperto che dietro ad ogni difficoltà degli alunni c’era qualche motivazione specifica e risolvendola pian piano migliorava raggiungendo buoni risultati.
Sono preoccupata per il futuro di molti bambini che, diagnosticati attraverso semplici test, si troveranno sbarrata la porta dell’istruzione, perché verrà loro negato l’esercizio dello scrivere, del leggere, del fare calcoli, risolvere problemi, tutti strumenti utilizzati da sempre nella scuola e fondamentali per imparare a leggere, scrivere e far di calcolo. Al posto di questi strumenti, per gli alunni diagnosticati con disturbi di apprendimento, la legge prevede che la loro “istruzione” debba avvenire mediante l’utilizzo di sintetizzatori vocali, registratori che leggono al posto dell’alunno, computer con correttore ortografico, video scrittura, calcolatrici.
Appare evidente l’incongruenza di questa legge che da una parte vuole garantire il diritto all’istruzione, rimuovendone gli ostacoli, dall’altra crea dei futuri cittadini disabili.
Se questa legge fosse esistita 30 anni fa, quanti fra noi, insegnanti, medici, avvocati, giornalisti attraverso una di queste diagnosi avrebbero visto svanire nel nulla i loro sogni e carriere? Perché dobbiamo riservare questo trattamento alle generazioni future?
I bambini e i genitori di fronte alle “autorità” non hanno gli strumenti per contrastare tali diagnosi, sta ad ognuno di noi vigilare e garantire che l’istruzione resti libera, come recita l’articolo 33 della Costituzione e che le scuole siano dei luoghi dove i bambini vanno per imparare, e non per raggiungere ipotetiche medie nazionali di abilità. Non dobbiamo creare una nuova “razza ariana”.
Maria Covini