Se i risparmi richiedono flessibilità

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 Il Dpef e la Relazione previsionale e programmatica, le proiezioni tendenziali e programmatiche indicano una significativa contrazione della spesa per investimenti pubblici in rapporto al Pil. Il riequilibrio dei conti pubblici è stato in qualche misura previsto e attuato proprio con una riduzione della spesa in conto capitale. È possibile ovviamente un mutamento negli orientamenti del governo, ma appare poco probabile alla luce della riduzione delle risorse per investimenti dell’11,5 per cento nell’ultima manovra finanziaria, tra il 2008 e il 2009, della continua sottrazione delle dotazioni al Fondo aree sottoutilizzate per finalità diverse e anche per spese correnti, e del modesto rifinanziamento della “legge obiettivo” (2,3 miliardi sul triennio) rispetto alle attese di 14 miliardi nell’ultimo decreto anti-crisi.

Ma quali sono allora i reali strumenti messi in campo dal governo? Riprogrammazione e accelerazione della spesa.

La riprogrammazione delle risorse destinate al finanziamento delle infrastrutture, attraverso la revisione di piani già approvati, la riassegnazione di risorse da parte del Cipe e la concentrazione delle risorse sulla rete infrastrutturale nazionale, sembra essere un elemento decisivo della “manovra”. Senza entrare nei dettagli, si può affermare che lo spunto iniziale per la riallocazione delle risorse è dovuto alla scarsa efficacia della spesa in conto capitale e alla necessità di procedere a una sua riqualificazione. Questo meritorio obiettivo non è stato però sostenuto, sotto il profilo legislativo e amministrativo, da criteri e metodi di selezione degli interventi, e in particolare da una valutazione degli effetti degli investimenti da avviare. Con l’emergere dei reali contorni della crisi economica,poi, si è trasformato in un insieme di disposizioni volte quasi esclusivamente ad accelerare la spesa, indipendentemente dalla sua qualità. In particolare, sono state varate norme straordinarie e procedure derogatorie per il rispetto di tempi di realizzazione e dei costi degli interventi. Si è inoltre puntato a concentrare gli stanziamenti sugli interventi più “maturi”, sotto il profilo amministrativo e tecnico, che possano assicurare un più elevato livello di pagamenti rispetto alla situazione preesistente.

Va detto che tentativi di accelerare la spesa per investimenti sono stati fatti anche in passato, ma senza successo. Le spiegazioni vanno ricercate ora come allora nella scarsa reattività degli operatori in presenza di dotazioni finanziarie stazionarie o in decrescita, e soprattutto nel fatto che è lo stesso governo che promuove la velocizzazione della spesa a tenere poi sotto controllo i flussi di cassa ai fini della invarianza dei saldi di fabbisogno e indebitamento.

In conclusione, vi è attualmente una grande incertezza sulle modalità della riprogrammazione, sui suoi effetti anticiclici e sulle risorse coinvolte.

 Utilizzo migliori del fondi comunitari

 La Commissione europea si è recentemente ispirata a principi di semplificazione degli iter procedurali e di proroga delle scadenze previste. Sono stati accelerati i pagamenti dei cofinanziamenti comunitari per i grandi progetti e sono stati aumentati gli anticipi versati sul complesso dei fondi strutturali per il ciclo 2007-2013. Ed è stata prorogata al giugno 2009 la scadenza del programma 2000-2006: senza la proroga l’Italia avrebbe perso 2,5-3 miliardi di fondi comunitari). Il governo italiano ha richiesto e ottenuto l’utilizzo di parte dei fondi strutturali per il pagamento di spese sociali (cassa integrazione). Soprattutto, dovrebbe iniziare un censimento delle risorse 2000-2006 rimborsate dal bilancio comunitario, ma non impegnate dalle amministrazioni perché disponevano di finanziamenti su altre fonti. Le risorse “inutilizzate” e congelate presso le Regioni dovrebbero essere ora riprogrammate d’intesa con le amministrazioni e convogliate verso iniziative a rapida attuazione e a più spiccata centralizzazione gestionale.

L’uso dei fondi comunitari offre ampi margini di elasticità e rapidità di spesa per utilizzi in funzione anti-crisi (ammortizzatori sociali). Per quanto riguarda i programmi già approvati, presenta però due ostacoli: a) la permanente lentezza dell’avvio di una reale fase operativa, soprattutto nei primi anni di un nuovo ciclo di programmazione, in questo caso il 2007-2013, con il risultato di rinviare nel tempo la realizzazione delle opere e i relativi pagamenti; b) la conflittualità nella effettiva gestione delle risorse tra governo centrale e locale.

 Strumenti finanziari e conti della PA

 Sono stati attivati strumenti finanziari che non hanno, o meglio non dovrebbero avere, effetti sui conti della pubblica amministrazione. Si tratta in particolare di estensione delle competenze della Cassa depositi e prestiti; utilizzo dei prestiti Bei per il finanziamento delle infrastrutture strategiche (legge obiettivo); eventuale emissione di bond europei per finanziare un fondo infrastrutture gestito dalla Bei.

Per quanto riguarda la Cassa, viene data la possibilità di effettuare operazioni di finanziamento delle infrastrutture a valere sulla “gestione separata”, ossia sulla quota di risorse “pubbliche” nella disponibilità della Cassa, in particolare, quelle riferibili alla raccolta dei buoni postali), purché abbiano “sostenibilità economico-finanziaria”.  I contorni di tali operazioni non sono però ancora chiari, saranno definiti da futuri decreti ministeriali. Va ricordato in ogni caso che la modalità di  finanziamento a fondo perduto delle (grandi) infrastrutture è quella più diffusa e gradita dagli operatori e sarà difficile rimuovere prassi consolidate.

In base all’accordo siglato tra ministero e Bei nell’ottobre 2008, che prevedeva un finanziamento complessivo di 15 miliardi per il quinquennio 2008-2012, dovrebbero essere concessi prestiti fino al 50 per cento del costo totale dei progetti finanziati a progetti di infrastrutture strategiche. Decisiva risulta in questo caso la procedura di selezione di opere che permettano la predisposizione di piani finanziari in grado di rimborsare tali prestiti.

Infine, un Fondo infrastrutture gestito a livello europeo potrebbe superare l’impasse rappresentato dal reperimento delle risorse a livello nazionale dovuto sia alla presenza di un alto livello di debito pubblico nazionale, sia da misure concorrenti relative al sostegno dei redditi in presenza di disoccupazione crescente.

 Un fondo anti-crisi

In conclusione, finora il governo ha fatto troppo poco: per una manovra addizionale sarebbe opportuno varare un fondo per un programma di investimenti pubblici in chiave anticiclica, piuttosto circoscritto, con nuove risorse, ammettendo quindi un più elevato indebitamento rispetto alle attuali previsioni. Il programma dovrebbe essere modulare e flessibile, includere interventi infrastrutturali di piccole e medie dimensioni di cui siano preventivamente valutati gli effetti economici e occupazionali e che consentano un rapido avvio, e concludersi definitivamente entro due anni.  Ovviamente, sarebbe auspicabile che si istituisse anche un altro fondo a livello europeo per il finanziamento delle infrastrutture a valenza transnazionale, attraverso debito contratto dall’Unione europea e ripagato dagli Stati membri secondo la quota utilizzata.

Tito Boeri e Agar Brugiavini

 

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