Qualche volta ritornano, i banchieri di Stato

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A quali esigenze risponde la Banca del Mezzogiorno? Se il problema sono le banche italiane incapaci o non interessate a valutare il merito di credito delle piccole imprese, la soluzione è nell’apertura alla concorrenza, non nella creazione di un nuovo istituto di credito. Il sospetto è che la Banca del Mezzogiorno non avrà come bussola della sua attività la redditività degli impieghi. Ma allora quali saranno i criteri con cui allocherà i fondi? Di solito, in questi casi, prevalgono i criteri politici. Un’esperienza che abbiamo già vissuto e che ci è costata cara. Il Consiglio dei ministri del 15 ottobre ha approvato il disegno dei legge che istituisce la Banca del Mezzogiorno. I dettagli non sono ancora chiari e quindi si possono al momento fare solo delle valutazioni preliminari. Lo Stato dovrebbe partecipare al capitale della banca solo con 5 milioni e per un periodo di tempo limitato, cinque anni. Le banche di credito cooperativo (le Bcc) operanti al Sud e le Poste dovrebbero entrare nell’azionariato. Ma gran parte del capitale dovrebbe essere costituito mediante un’emissione di obbligazioni garantita dallo Stato. Le obbligazioni dovrebbero essere assoggettate a un trattamento fiscale agevolato rispetto alle normali obbligazioni: 5 per cento invece che 12,5. CHI METTE IL CAPITALE È bene precisare subito che le emissioni garantite dallo Stato fanno parte a tutti gli effetti del debito pubblico. Quindi il capitale della Banca del Mezzogiorno, malgrado le affermazioni in senso contrario del ministro dell’Economia, andrà ad aumentare il debito pubblico. Anche le altre obbligazioni di scopo garantite dallo Stato che potranno essere emesse da enti diversi dalla banca per finanziare investimenti nel Mezzogiorno nell’ambito del “pacchetto Sud” approvato ieri, proprio in quanto garantite dallo Stato, porteranno ad aumentare un debito pubblico già tornato vicino al picco storico del 1992-3. Resta anche aperto il dubbio su chi nominerà i vertici della Banca. Le Poste, il cui capitale è detenuto per il 65 per cento dallo Stato e per il 35 per cento dalla Cassa depositi e prestiti? Insomma, al di là dei proclami, cosa ci sarebbe di privato in una banca il cui capitale è costituito da obbligazioni garantite dallo Stato e i cui vertici sono nominati, seppur indirettamente, dallo Stato? La Banca del Mezzogiorno, per evitare i costi derivanti dall’apertura di nuovi sportelli, dovrebbe appoggiarsi a quelli delle banche di credito cooperativo, la cui presenza al Sud è peraltro piuttosto limitata, e, soprattutto, degli sportelli del Banco Posta. Si tratterebbe dunque di 650 sportelli delle Bcc più circa 4mila uffici postali, secondo le stime del Corriere della Sera. Non è chiaro se le Poste abbiano le competenze e il personale necessario a svolgere compiti addizionali, ma questi sono aspetti secondari. PERCHÉ UNA BANCA DEL MEZZOGIORNO Il vero punto è un altro: a quali esigenze risponde la Banca del Mezzogiorno? Secondo il ministro, la Banca nasce per “incrementare la capacità di offerta del sistema bancario e finanziario del Mezzogiorno, sostenere le iniziative imprenditoriali più meritevoli, canalizzare il risparmio verso iniziative economiche che creino occupazione nelle regioni meridionali”. E aggiunge il Ministro:”In questa banca non si parlerà inglese. La nostra logica, la nostra visione è quella dell’albergo che vuole ampliarsi, del comune che vuole fare un centro congressi, dell’esercente di uno stabilimento balneare che vuole aprire una pizzeria”. Sul fatto che non si parlerà inglese, non abbiamo dubbi, purtroppo. Qualche dubbio in più lo abbiamo sul resto. Il ministro non tocca infatti il vero punto: perché oggi le banche non finanziano la pizzeria o l’albergo del Sud? Ci sono due possibilità. La prima è che le nostre banche siano pigre, incapaci o non interessate a valutare il merito di credito delle piccole imprese. Banche che si accontentano di controllare se l’imprenditore ha delle garanzie. Questo è possibile. La struttura proprietaria delle banche e la composizione dei consigli di amministrazione non è certo tale da mettere pressione ai vertici manageriali. Prova ne è l’intervista di alcuni mesi fa in cui l’amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, allora cinquantenne, con il titolo di Unicredit in picchiata, prometteva di lasciare il suo posto … a 60 anni! Ma se questo è il problema, allora la risposta è nel cercare di promuovere una maggiore concorrenza nel settore bancario. O si pensa veramente che la nuova banca potrà rappresentare uno stimolo alla concorrenza? Quali saranno le competenze, il capitale umano della nuova Banca del Mezzogiorno che le consentiranno di essere più efficiente delle banche che oggi operano al Sud? Vero che oggi il Sud vanta una minore presenza di sportelli bancari che il resto del paese: 35 ogni centomila abitanti contro 50. Ma la presenza fisica e capillare sul territorio non è certo garanzia di maggiore capacità di finanziare progetti meritevoli sostenendo così lo sviluppo locale. La Sicilia, in virtù del suo statuto speciale, non è mai stata soggetta ai vincoli nell’accesso al credito imposti dalla Legge bancaria del 1936 e nel dopoguerra ha conosciuto uno sviluppo imponente della propria rete di sportelli bancari: quasi 500 in più nei soli anni Sessanta, tanti quanti in tutto il resto del Mezzogiorno. Eppure un’isola così “banchizzata” e irrorata di credito (più che d’acqua) non vanta certo condizioni di sviluppo superiori al resto del Mezzogiorno. Il suo reddito pro-capite è superiore solo a quello di Calabria e Campania, la speranza di vita tra le donne è addirittura inferiore a quella media del Mezzogiorno, è seconda solo alla Sardegna nel tasso di abbandono degli studi, offre meno servizi per la cura degli anziani di molte altre regioni meridionali. E potremmo continuare. La seconda possibilità è che le banche raccolgano risparmio al Sud, ma investano principalmente al Nord perché al Nord ci sono progetti migliori o meno rischiosi. Insomma, progetti che consentono alle banche di realizzare maggiori profitti rispetto al finanziamento dei progetti delle piccole imprese al Sud. Per varie ragioni, quali ad esempio una presenza meno invadente della criminalità organizzata. Questo spiegherebbe anche il maggiore costo del credito al Sud rispetto al resto del Paese. Se veramente la banca del Mezzogiorno avrà azionisti privati, perché essi dovrebbero accettare di fare minori profitti e di prendere più rischi? In cambio di cosa? Il sospetto è che la Banca del Mezzogiorno non avrà come bussola nella sua attività la redditività dei suoi impieghi. Ma allora quali saranno i criteri con cui allocherà i fondi? Di solito, in questi casi, prevalgono criteri politici. Basta guadare alla recente storia italiana. Le cosiddette banche di interesse nazionale (Bin) hanno prestato massicciamente a gruppi imprenditoriali vicini a partiti o a uomini politici, realizzando perdite ripianate poi dallo Stato. E’ ancora viva la memoria delle riunioni sulle nomine bancarie tra esponenti delle forze di governo e Banca d’Italia una lottizzazione meno simile a un mercato delle vacche. Le notti delle nomine erano una delle poche cose del passato di cui nessuno, a parte il ministro Tremonti sembrava sentire la mancanza. Francesco Forte concludeva il suo articolo di ieri sul Foglio con questa frase: “Vogliamo tornare a queste avventure (…)? Si rimettano questi sogni neo mercantilisti nel cassetto. Ci sono costati abbastanza”. Per una volta siamo d’accordo con lui. Tito Boeri e Fausto Panunzi, da “LaVoce.it” ottobre 2009

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