Nei dodici anni di vita dell’euro, la Germania ha guadagnato competitività in termini di prezzi al consumo e di costi unitari del lavoro rispetto agli altri paesi dell’area. L’enorme crescita dei differenziali dei tassi d’interesse tra i paesi dell’eurozona ha accresciuto il costo del debito pubblico e privato dei paesi deboli e ridotto quello della Germania. Ecco perché i tedeschi sono così contrari agli Eurobond e a un ruolo diverso della Bce. Finché i costi economici e politici della rottura dell’intera costruzione europea non verranno valutati eccessivi.
Sono state date molte spiegazioni della ferma opposizione tedesca alle proposte di emissioni di Eurobond e soprattutto a che la Bce svolga il ruolo di prestatore di ultima istanza, seppure con un forte impegno dei paesi in crisi a mettere ordine alle loro finanze pubbliche. Fra queste ragioni ricordiamo:
a) la necessità di evitare problemi di moral hazard, poiché tali paesi avrebbero un forte incentivo a non realizzare i correttivi necessari;
b) l’ossessione tedesca per la stabilità monetaria, retaggio della loro storia;
c) la cultura del rispetto delle regole insite nella cultura protestante;
d) l’assenza di leadership politica o peggio,
e) l’opportunismo della signora Merkel che con questo comportamento accresce la sua probabilità di essere rieletta alle prossime elezioni del 2013.
La competitività tedesca ai tempi dell’euro
Benché ognuna di queste spiegazioni contenga una certa dose di ragionevolezza, nessuna sembra del tutto sufficiente a giustificare completamente l’attuale situazione. Forse conviene allora partire da una banale analisi di costi-benefici degli effetti che tali proposte potrebbero produrre. Prima di fare questo è bene tuttavia partire da alcuni fatti. Nei dodici anni di vita dell’euro, la Germania ha guadagnato circa il 9 per cento di competitività in termini di prezzi al consumo e quasi il 17 per cento in termini di costi unitari del lavoro, rispetto agli altri paesi dell’area euro. Nello stesso periodo, l’Italia ha perso circa l’1,5 per cento di competitività in termini di prezzi al consumo e il 9 per cento in termini di costi unitari del lavoro. Percentuali anche superiori si osservano in Spagna, Portogallo e soprattutto in Grecia.
La crisi finanziaria dell’ultimo anno non ha fatto altro che aumentare il vantaggio competitivo dell’economia tedesca, giacché l’enorme crescita dei differenziali dei tassi d’interesse tra i paesi dell’eurozona ha accresciuto il costo del debito pubblico e privato dei paesi deboli e ridotto quello della Germania. In altre parole, oggi banche, imprese, famiglie e Stato tedesco si trovano in una situazione di straordinario vantaggio nel finanziare consumi e investimenti.
È evidente che gli elettori tedeschi hanno l’interesse a mantenere i vantaggi conquistati con fatica e quindi a ostacolare qualsiasi politica che li possa rapidamente erodere. Ovviamente l’emissione di eurobond riduce il vantaggio finanziario dell’economia tedesca, mentre una politica estremamente lasca della banca centrale e il conseguente possibile aumento nel lungo periodo dei prezzi potrebbe facilitare il processo di convergenza degli indicatori di competitività. Infatti, se tale convergenza avvenisse solo attraverso politiche deflattive dei paesi deboli, cosa che sta puntualmente avvenendo, sarebbe molto più lunga e dolorosa per loro.
Ecco perché i tedeschi sono così contrari agli Eurobond e a un diverso ruolo della Bce in termini di prestatore di ultima istanza. Ovviamente, vogliono anche evitare che il giocattolo si rompa. Da qui il varo dei diversi fondi salva Stato (prima l’Efsf e l’Efsm e dal 2013 l’Esm), il tentativo di coinvolgere il Fondo monetario internazionale e le proposte di revisione dei Trattati che ridiano credibilità al sistema.
Vantaggi anche dall’euromarco
È bene per altro ricordare che anche in caso di uscita di alcuni paesi dall’euro, e quindi di forte rivalutazione dell’“euromarco”, l’industria tedesca potrebbe non risultare troppo danneggiata, dato il forte processo di globalizzazione osservato sia dal lato delle produzione che delle vendite. Ad esempio, oggi molte autovetture tedesche sono prodotte all’estero o incorporano molti componenti esteri e comunque sono vendute fuori dall’Europa. Inoltre, la rivalutazione dell’“euromarco” equivarrebbe a un aumento della ricchezza e del potere d’acquisto per ampi strati nella popolazione non direttamente coinvolti nella produzione di beni tradable. Si pensi al tipico pensionato o lavoratore pubblico che viene in vacanza in Italia o acquista beni cinesi.
Infine, è utile ricordare che i tedeschi a lungo si opposero alla creazione della moneta unica, fortemente voluta da Francia, Italia e Spagna. Solo dopo forti concessioni di termini di indipendenza della futura Banca centrale, fissazione di un unico obbiettivo in termini d’inflazione, divieto di finanziare i debiti pubblici, firma del Patto di stabilità e crescita e sede a Francoforte accettarono di rinunciare all’amato marco e alla Bundesbank.
In conclusione, seppure la cultura protestante o l’ossessione per la stabilità tedesca possono giocare un ruolo nelle scelte della cancelliera Merkel, è ragionevole ritenere che gli interessi del paese siano allineati con le posizioni politiche del suo leader. Questo fino a quando i costi economici e politici della rottura dell’intera costruzione europea non verranno valutati eccessivi.
Rony Hamaui, da “LaVoce.info”, dicembre 2011