Esterofilia, mancanza di cultura nell’accoglienza dell’altro: sindrome di Caino

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C’è un collegamento tra gli ultimi episodi che sono avvenuti a Rosarno (Rc), con quelli collegabili alla Coppa d’Africa (alludo al vile attentato al pullman che trasportava i giocatori del Togo, impegnati nella competizione del continente africano, mi dicono la più importante del continente, seconda solo al Campionato del mondo di calcio che si terrà a giugno in Sud Africa) e, infine, con il recente provvedimento intrapreso dal ministro Gelmini (mi riferisco al tetto stabilito al 30 per cento di studenti stranieri ammessi a frequentare le nostre scuole).

Un file rosso che accumuna questi episodi che sono saliti all’onore della cronaca che possiamo semplicemente comprendere con il termine di “limitato senso di convivenza” tra gli uomini. O meglio: di mancanza di amore verso l’altro, anche se l’altro ha un colore della pelle diverso dalla nostra. E la violenza di cui il Nord industrializzato del Pianeta è maestro è stata felicemente esportata all’estero, anche in Africa dove atti d’intolleranza si sono materializzati in certe persone le quali non hanno ritenuto cosa migliore per “vincere” partite di pallone che impugnare il mitra e sparare al pullman dei calciatori. Un tempo si diceva che bisogna essere sportivi, nel senso che bisognava anche saper accettare una sconfitta; che nel gioco ci sta la vittoria (che naturalmente esalta a non dire), ma anche la sconfitta se gli avversari si rivelano superiori o se hanno preparato con miglior cura il confronto sul campo verde. Ci sta vincere, come perdere: bisogna solo essere preparati a questo. Ma evidentemente il messaggio non è passato a questi fanatici (altri termini non mi vengono) che hanno creduto bene di intervenire con le canne delle pistole.

Quello che è avvenuto sulla piana di Gioia Tauro non ci sorprende perché era prevedibile, dopo che lo scorso anno abbiamo assistito a vari episodi del genere in Francia, ma soprattutto alla periferia della metropoli parigina. La rabbia era presente anche da noi e prima e poi sarebbe dovuta esplodere, com’è stato. Per capirla non ci vuole molta arguzia, basta vedere le immagini trasmesse da tutte le televisioni per capire in che condizioni di lavoro erano costretti a vivere questi disperati africani che fuggivano dalle loro terre per le guerre, le epidemie, la fama, l’arretratezza e così via. Il nuovo volto della schiavitù in una regione che da sempre è “controllata” dalle famiglie camorriste e il lavoro lo si ottiene se si sta al codice d’onore di questi clan. Pagati come sono pagati, per un lavoro come quello che viene svolto in sud della Penisola. Scrive, oggi, sulla “Stampa” di Torino Luca Liverani: “Che la situazione fosse esplosiva a Rosarno lo metteva nero su bianco l’Inea già due anni fa, rilevando situazioni di totale violazione dei diritti umani. Lavoratori senza diritti, braccianti nomadi che si spostano stagionalmente dalla Sila alla piana di Gioia Tauro o a quella di Sibari. «Le ore di lavoro sono tutte quelle possibili di luce, minimo 8 o 10 al giorno – spiegava Giuliana Paciola della sede regionale Inea Calabria – e il caporalato, in genere, è eseguito da calabresi, ai quali spesso è corrisposta anche la paga», su cui trattengono una percentuale. Un sistema di sfruttamento perfettamente funzionale a un’economia distorta. Che qualche volta, come a Rosarno, s’inceppa”.

E per dare una dimostrazione della loro (degli immigrati africani nella piana di Gioia Tauro) forza sarà proclamato uno sciopero di tutti i lavoratori il primo marzo. Sarà il primo sciopero degli stranieri della nostra repubblica. E intanto Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione legislativa ed esponente della Lega Nord commenta così il tam tam che sta passando su Face book (sono oltre diecimila gli iscritti al gruppo) la proposta della protesta: «Uno sciopero dei lavoratori extracomunitari? Escluderei che vogliano farlo i regolari. Se l’iniziativa partisse invece dagli irregolari, si tratterebbe soltanto di espellerli». Troppo semplicistico affrontare in questo modo il problema. Tutto sarebbe riconducibile al fatto da cui ci siamo mossi all’inizio: educare alla convivenza e all’accoglienza. Dobbiamo prendere atto che la nostra società si sta sempre di più caratterizzando nella direzione di una composita etnia, è con essa che dobbiamo fare i conti, volenti o nolenti. E nei prossimi anni sarà sempre più marcata questa caratteristica. Si parte intanto con l’ammissione nelle classi della scuola dell’obbligo del 30% di stranieri? Poco, troppo: un terzo di ragazzi stranieri contro due terzi italiani. Poco? Intanto si parte. Ma qualsiasi progetto si mette in antiere per realizzarlo dovrà essere coniugato con il principio dell’accoglienza dell’altro che non è diverso, è uguale a noi. anche se ha un colore di pelle differente!

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