La Sacra Sindone in esposizione a Torino, immagine della sofferenza umana

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La Sacra Sindone

L’EDITORIALE di Luigi Cignoni

– Mi è venuto spontaneo pensare al telo, al lenzuolo di lino sacro per i credenti cristiani, che da oggi viene esposto in Duomo a Torino mentre seguivo in diretta le drammatiche immagine che erano diffuse in tutto il mondo e che riprendevano il disastro aereo nei pressi di Katyn. Aereo che portava i vertici politici della Polonia, i quali avrebbero dovuto partecipare alle commemorazioni della strage di 22 mila ufficiali polacchi sterminati nel 1940 nella foresta oggi territorio russo dall’Nkvd, la polizia segreta comunista progenitrice del Kgb.

L’immagine emblematica di un’umanità sofferente. Immagine oltremodo drammatica. Se è vero (come risulta tale) che Lech Walesa, l’ex presidente della Polonia per fortuna restato a casa e quindi rimasto in vita, ha detto che la Polonia è stata decapitata per la seconda volta nella  sua storia. Sì perché, i queste stesse foreste di Katyn (che ora sono diventate il simbolo delle sopraffazione dell’uomo sul suo simile) si è perpetrato nel 1940 l’eccidio forse non meno crudele di quello dei campi di concentramento tedeschi  dai russi. Sotto queste zolle sono stati sepolti  ventiduemila polacchi. Sono stati trucidati soltanto perché polacchi; e si sapeva che nell’esercito c’era il fior fiore della nazione. Una specie di maledizione, dunque, Katyn per la Polonia, se si pensa poi come sia stato crudele il destino dato che la delegazione governativa polacca si recava in questo luogo della Russia a rendere omaggio ai caduti  durante l seconda guerra mondiale.

Ho pensato a loro quando sentivo le parole del cardinal Poletto di Torino e lo slogan coniato per l’occasione «Specchiatevi nella Sindone». C’è un filo diretto tra quell’uomo la cui immagina è stata “stampata” sul lino e che la tradizione vuole che sia il Crocifisso e la strage compiuto prima nel 1940 e poi l’incidente aereo dell’altro giorno: esso è rappresentate dalla morte degli uomini per un ideale perseguito, per un desiderio primo di libertà, poi di affrancamento e di riconoscimento del proprio “status”. Certo che ci vuole la fede nel riconoscere in quella figura, l’immagine dell’Uomo-Dio. Ci vuole fede, ma anche occorre considerare le fortissime “somiglianze” del crocifisso (quanto subirono la stessa sorte nell’epoca imperiale romana?) con quanto testimoniato dai Vangeli. Un’immagine che adesso il mondo cattolico potrà finalmente dire quali fossero le fattezze di colui che si è immolato per salvare l’umanità dal peccato: è una figura reale… impresso sulle tele di lino dopo che è successo quel fatto inspiegabile della “liberazione” del corpo dalla morte. Episodio inspiegabile scientificamente riuscito pochissime volte nella storia dell’umanità e tutte le volte c’era sempre di mezzo Lui.

Immagine per eccellenza della sofferenza umana, della sciagura in cui l’umanità precipita, se non le viene in soccorso l’aiuto sovrannaturale. Il lenzuolo di Torino (bellissima anche la sua storia di come sia capitato nel capoluogo piemontese) è l’emblema della stessa umanità, colpita da questa forza titanica che è rappresentata dalla morte, dalla disgrazia, dall’infelicità. Eppure osservando quell’Uomo del telo del quali si può ancora scorgere il sangue grondante dalla sua fronte non noto ghigni di sofferenza, espressioni che mi fanno capire il dolore umana. Vedo semmai una pace così profonda, ottenuta dopo la sofferenza, che mi concilia con l’idea stessa della morte. Perché si va a Torino? Dicono che sono attesi oltre 2 milioni di pellegrini, ma cosa ci si va a fare? Se non per “vedere” e adorare quell’Uomo che si è fatto carne e per imparare da lui quale atteggiamento tenere di fronte al destino cui noi tutti siamo irrimediabilmente diretti?

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