Peccato. Doveva essere una manifestazione contro l’ingerenza dell’economia nella politica e il suo plusvalore mondiale così elevato al punto da dettare legge in tutte le maggiori democrazie, una manifestazione insomma in perfetta sintonia con quanto stava accadendo nelle altre principali capitali del mondo e invece, la situazione a Roma lentamente, ma irrimediabilmente è andata deteriorandosi. E’ sfociata nella guerriglia urbana. Hanno prevalso la barbarie, la violenza, l’ira contro tutto e tutti. Contro ogni forma di capitalismo. L’ordine imperativo era “distruggere” qualsiasi cosa che anche lontanamente poteva rappresentare l’ordine e la classe capitalista: dalle vetrine del medio – piccolo commerciante, alle banche, ai supermercati. Insomma tutto ciò che si trovava lungo la strada: profanare. E non avere neppure remore con i simboli religiosi (la statuetta della madonna gettata per terra e calpestata, come ai tempi dei Goti, e un uomo che correva dietro all’incappucciato, gridandogli “Testa di…”). Scene da guerra civile, che non ricordo di aver visto neppure nei mesi caldi delle manifestazioni sessantottine. Neppure allora.
Ed è bastano che un gruppo minoritario (si parla di un migliaio o poco più di dimostranti) avesse usato i sampietrini e avesse rotto le vetrine lungo il tragitto del corteo, perché il segno della protesta sfociasse in guerra aperta. Contro chi? A partire dai Poliziotti che sono dalla parte dei capitalisti e che li difendono.
Mentre seguivo queste scene raccapriccianti alla televisione, ho avuto netta la sensazione che si cercasse il morto: colpire alla cieca e sperare che per qualcuno, quella pietra scagliata con così forte energia finisse per ammazzare qualcuno. Netta l’impressione che si cercasse il pretesto per lasciare sul selciato romano un morto. Come leggendo stamani le cronache di questi avvenimenti sui maggiori quotidiani, mi confermo nell’opinione che si respirava nell’aria fra gli stessi dimostranti che la manifestazione sarebbe finita male.
Lo si è capito quando un ragazzo, all’angolo della via ha deposto per terra il suo zaino ed ha estratto da dentro un passamontagna e una felpa nera: il simbolo dei black bloc. E da quel momento non ce n’è stato per nessuno. Perché, se è vero che il ragazzo in quel momento era solo, è altrettanto vero che c’erano migliaia come lui che avevano la medesima “divisa”. Esproprio proletario. Questo è stato il bottino in un negozio saccheggiato e le merci distribuite, ma sarebbe stato meglio dire buttate sulla testa dei dimostranti. Però nessuno si è chinato a raccogliere quei beni che con così grande magnificenza e generosità i nuovi barbari distribuivano e davano in pasto al popolo.
E voglio continuare ricordando un episodio che mi ha colpito. Una donna che aveva fino a quel momento sfilato pacificamente, mostrando la sua brava maglietta bianca con sopra la scritta “Partigiani per sempre” stava gridando a questi vandali di farla finita, è stata spinta e poi gettata per terra. Sì, perché quello era il momento dell’irrazionalità pura, dell’ira contro il sistema.
Peccato, dicevo, perché quella di ieri pomeriggio poteva rappresentare un’occasione per dire no allo strapotere della finanza, e invece il corteo del 15 ottobre rappresenterà (purtroppo) la pietra di paragone per tutte le manifestazioni che da questo momento in poi si svolgeranno nel nostro Paese. Sarà ricordata non per i contenuti e i messaggi indirizzati ai centri di potere multinazionali, ma per le cariche, per il disordine, per gli attacchi alle forze di polizia. Per i danni che sono ricaduti sulla Città, il milione di euro che dovrà essere remunerato. Un peccato, dunque, anche se unanime è il dissenso. A chi è giovata una tale situazione? Ai miei tempi si diceva che queste cariche facevano comodo alla classe politica che ci governava in quel momento, la quale (forte di quanto era accaduto) avrebbe emanato delle leggi draconiane per quanto riguarda le libertà individuali. Adesso cosa bisogna dire? Non ha certo giovato a chi voleva dimostrare. E mi auguro che serva da monito per i prossimi appuntamenti di piazza. Oggi sappiamo che ci sono anche loro, i disperati. che non aspettano altro che uscire fuori per colpire siano manifestazioni di piazza, sia occasioni di sport. E non illudiamoci che siano gente che ci arriva dai paesi europei: ce li abbiamo in casa. Occorre rivolgerci anche a loro, fare i conti con loro e cercare di coinvolgerli nel processo di maturazione della democrazia nel nostro Paese.
Dopo quanto accaduto non vorrei che arrivino legi speciali che vietino di manifestare.