Londra – Potrebbe sembrare una domanda retorica, ma per quale motivo si va a comprare altrove, senza avvalersi dei beni del nostro Bel Paese?
Quesito destinato a non trovare risposte. Troppe cose ci hanno fatto intendere i nostri politici; troppi ragionamenti condivisibili ci hanno fatto accettare. Ma il margine di critica che ogni persona dovrebbe avere è una prerogativa che deve essere salvaguardata.
Come, tanto per fare un esempio, chi l’ha detto che per uscire dalla morsa della crisi c’è bisogno di un taglio alla spesa, di un congelamento dei salari (mi riferisco a quelli statali) che sono i primi a dover pagare?
Non credo che sia stata una formula vincente (ne è una prova che lo spread dei nostri titoli a confronto con quelli della Germania hanno raggiunti i livelli storici e che comunque, a parte qualche piccola e impercettibile variazione, non è mai sceso al di sotto dei quattrocento), tant’è che ne paghiamo ancora le conseguenze.
E adesso ci dicono pure che il panorama di crisi è destinato a perdurare anche nei prossimi mesi e forse fino alla fine del prossimi anno si potranno scorgere i primi deboli e timidi tentativi e segnali di ripresa. Tutto questo, tradotto i termini semplicistici, significa che la crisi viene pagata dalla solita classe, quella media che è stata il cavallo vincente dei governi di centro degli anni sessanta e settanta. Quello che così faticosamente aveva creato il partito dello scudo crociato per regalare un benessere più diffuso alla popolazione, viene così smantellato dallo tsunami del primo decennio del Terzo Millennio e quasi trascinato alle soglie della povertà, facendo aumentare la forbice fra chi è ricco e chi è invece povero.
Non c’è che dire. Non penso che sia una formula da perseguire, se non viene immediatamente corretta secondo l’ottica che chi ha poco debba pagare il poco, chi invece ha tanto deve pagare tanto, per usare una metafora del Nuovo Testamento.
Una proposta potrebbe essere quella di usare risorse che si trovano nel nostro Paese, senza ricorrere (perché è più facile e sono a maggior mercato) a quelle proveniente dall’Estero. Mi riferisco alle potenzialità energetiche di cui è ricco il nostro territorio. Ci sono potenziali giacimenti petroliferi sulla nostra penisola che potrebbero essere trattati convenientemente, se una politica che mira alla soltanto al pareggio del bilancio e ai tagli della spesa pubblica preferisse voltarsi altrove per rifornirsi.
Ma vi ricordate la strategia dell’Eni all’epoca di Enrico Mattei e che cosa sarebbe stata l’azienda di stato se non si fosse verificato quell’incidente aereo?
Pecchiamo di autarchia? No, se accettiamo il punto di vista che prima di pensare all’altrove si debba invece fare i conti con casa nostra.
Siamo consapevoli che spostare le trivelle inquinanti su altre superfici del pianeta, per avere e conservare un ambiente nostrano il più naturale possibile non è un ragionamento perseguibile.
Occorre rivedere la nostra politica, perché il conservatorismo spesso non significa anche progresso e ricerca mirata al miglioramento della qualità della vita in generale.
Luigi Cignoni
Premetto che la politica in quest’ultimo ventennio è stata disastrosa per il debito pubblico da mozza fiato, un tasso di corruzione altissimo , una criminalità che dispone del maggiore potere economico superiore a qualsiasi grande impresa italiana ,una burocrazia che frena gravemente la produzione,una giustizia ingiusta ,una classe politica sprecona e miope costretta alle emergenze , invece alle prevenzioni con disastri idrogeologici continui ed inquinamenti territoriali diffusi ed inquietanti..Solo se si riuscisse liberarsi di tutta questa palude, saremmo un popolo quanto meno più ricco ma anche moralmente più evoluto, perchè avremmo imparata la lezione per essere veramente democratici . Cioè un popolo più attento ai suoi delegati.