Londra – Prima che mi iscrivessi su Facebook, mi capitava di incontrare amico o semplici conoscenti che, tra una chiacchiera e l’altra, lasciavano venire in superficie cosa li stesse preoccupando.
E quindi non capitava tutti i giorni.
Oggi, dopo 3 anni di attiva partecipazione e condivisione sulla piattaforma sociale più utilizzata al mondo, praticamente vengo a contatto con tristi realtà quasi tutti i giorni.
Eh si, perché si è inclini a mascherare le proprie sofferenze, si è inclini quasi ad ostentare la gioia, perché ammettere di soffrire significa ammettere di avere debolezze umane.
Siamo tutti concentrati nell’interpretazione del Superuomo.
Ebbene, ho scoperto che, dietro una chat, le persone non mettono la maschera, ma se la strappano con decisione, quando avvertono di avere comprensione e la possibilità di confrontarsi, senza correre il rischio del giudizio.
Le anime si manifestano e si lasciano trasportare da un fiume di parole, che sgorgano in modo naturale, quasi a dire: io mi rivelo a te e libero me.
Il social che, spesso è sotto i riflettori per un utilizzo non sempre appropriato, finalizzato a mere conoscenze e a tvb a buon mercato, è diventato per me un confessionale.
Fin tanto ci relazioniamo a persone che condividono la nostra stessa realtà, il nostro stesso contesto sociale, possiamo comprenderne l’azione adottata e i parametri di comportamento risolutivo, ma qui non è così.
La globalità culturale con cui ci si interfaccia è immensa e, addentrandosi in nuove storie, in nuovi contesti sociali, ti rendi conto di quanto sia condizionabile l’uomo dal posto in cui vive.
Tutti ci facciamo portavoce dell’essere, criticando l’apparire.
A parole, siam tutti bravi.
E poi. ….?
Poi, diamo un incontrollabile sterzata al pensiero, concretizzando in un’azione che va sotto l’etichetta del mettersi in gioco.
Il mio messaggio quale vuole essere?
……mettiamoci in gioco e non in vendita, perché ci sono molte scelte che riconduciamo a una causa di comodità.
Anche lo stesso voler essere necessariamente apprezzati, ci porta a fare ciò che è giusto per gli altri e non perché rende felici noi stessi.
Per quanto mi riguarda, ho consapevolezza che questa è la mia unica possibilità, e che la protagonista di questo cortometraggio, che è la vita, sono io e soltanto io.
E non per egoismo, ma perché ho imparato ad amarmi, voglio vivere sentendo di vivere, secondo ciò che la mia anima si nutre, nel rispetto di tutti, ma soprattutto nel rispetto di me stessa, con cui a fine giornata mi ritrovo a tirare le somme di come ho impiegato il mio tempo e di cosa ho fatto.
La Vita è una.
È una corsa agli ostacoli, ma visto che a saltarli devo essere io, preferisco farlo a modo mio.
Giovanna Mirra