Genova – Siamo noti ai più per la nostra supposta avarizia. Per la nostra chiusura, come la nostra terra. Circondata dai monti alle spalle e frenata dal mare sul davanti.
Dicono che siamo un popolo di burberi, scontrosi, riservati.
Sì noi siamo anche questo. Ma non siamo solo questo. E per capirlo bisogna partire da lontano.
Qui sono passati tutti. Annibale con gli elefanti (avere il Magone… nasce proprio da lì), i Romani. In tempi più recenti gli Austriaci, i Francesi. Per ultimi i Savoia. Tutti hanno saccheggiato e provato a distruggere Genova. Anche gli Inglesi dal mare, nel 43. E quando non sono stati i nemici, ci ha pensato la natura con le alluvioni. Per ultimo, tra fabbriche esplose, il crollo della torre piloti, il ponte tragicamente noto in questi giorni, ci ha pensato anche l’incuria dell’uomo.
Ma noi ci rialziamo sempre. Non abbassiamo mai la testa.
Noi siamo il popolo che ha strappato la terra alle rocce per vivere e coltivare. L’abbiamo fatto senza l’aiuto di nessuno.
Noi siamo il popolo che è talmente eclettico che è capace in pochi metri di sostituire le reti degli ulivi con quelle per i pesci.
Noi siamo chiusi, brontoloni: eppure così aperti che Genova è da sempre un crogiolo di razze, culture, etnie che si mischiano e vivono in pace da più di seicento anni.
Noi siamo stati i primi a veder nascere i movimenti operai, il partito socialista, le battaglie del sessantotto.
Noi siamo stati la città che si è liberata da sola dai nazisti.
Siamo quelli che, dopo le guerre napoleoniche, tenevano in scacco tutti i governi di Europa. E per quello siamo stati venduti al regno sabaudo. Con una sola richiesta: azzerare i crediti di Genova con l’Europa.
Siamo quelli che ci detestiamo perché tifiamo Genoa o Samp. Ma quando c’è da scavare il fango dell’alluvione o si deve spostare macerie, la sciarpa dell’altro diventa un simbolo della nostra unità.
Siamo laici e religiosi ma ascoltiamo tutti. Siamo l’unica città o quasi al mondo in cui sulla stessa piazza ci sono l’arcivescovado, simbolo del potere spirituale, e palazzo ducale; simbolo di quello materiale.
Siamo stati forse i primi, durante un funerale di stato, a dar parola al Cardinale e all’Imam. E entrambi sono stati applauditi più dei politici.
Siamo la terra dove il basilico è diverso da tutto il resto del mondo. Dove il mugugno è sempre di casa, dove ci lamentiamo del cane del vicino. Ma se ha bisogno, la ciotola di quel cane con l’acqua la riempiamo noi.
Non siamo immediati e siamo difficili da comprendere. Siamo il frutto di tutte le contraddizioni che ho citato.
E una cosa la sappiamo fare molto bene: rialzarci e divenire meglio di prima.
E lo faremo anche questa volta.
Una lettrice.