Chi sono gli Hikikomori? Una storia di auto-esclusione e rinuncia

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Si ritirano volontariamente dal mondo, vivono chiusi nella loro stanza, non escono neanche per mangiare. Non hanno alcun tipo di rapporto sociale e anche quelli con i propri famigliari sono quasi totalmente assenti. Sono gli Hikikomori.

Termine giapponese che significa “isolarsi”, “stare in disparte” è nell’impero del Sol Levante che il fenomeno degli Hikikomori trova la sua origine e la sua maggior diffusione. Gli Hikikomori, che solitamente sono giovani compresi tra i 17 e i 39 anni, possono decidere di non uscire di casa per mesi o addirittura per anni: vivono in una bolla di solitudine, vergogna e paura.

Ma quanti sono gli Hikikomori giapponesi? Non è facile rispondere a questa domanda: il governo giapponese stima che possano essere oltre 540mila le persone colpite da questa estrema forma di auto esclusione dal mondo.

Ad aver coniato il termine alla fine degli anni ’90 è stato Tamaki Saitō, psicologo oggi considerato il maggior esperto e conoscitore al mondo del fenomeno. Perché, appunto, si tratta di un fenomeno e non di una sindrome mentale o psichiatrica: non ha infatti nessun legame, come si pensava in passato, con la depressione.

Ma quali sono i sintomi attraverso il quale viene “diagnosticato” l’Hikikomori? È lo stesso Saitō ad averne descritto la sintomatologia: fobia sociale, ritiro scolastico e conseguente ritiro sociale, apatia, letargia, depressione e antropofobia sono solo alcuni dei sintomi che si riscontrano in un Hikikomori. E se ad occhi poco attenti, quelli descritti potrebbero sembrare i sindromi della più classica delle depressioni, in realtà si tratta di due fenomeni completamente diversi. Alla base della “chiusura” di un Hikikomori, infatti, troviamo un senso molto profondo di vergogna di sé.

E potrebbe essere proprio la vergogna il sentimento cardine attraverso il quale si alimenta questo fenomeno, soprattutto se calato nel contesto della cultura giapponese. Da un punto di vista prettamente sociologico, infatti, l’hikikomori potrebbe essere una reazione estrema di rifiuto nei confronti della società giapponese e del suo sistema culturale tradizionale, basato su rigide regole sociali e morali: si tratta di un sistema sociale in cui successo e autorealizzazione diventano principi cardine su cui basare la vita di ciascun individuo, nonché il suo posto all’interno della società. La continua richiesta di perfezione, quindi, potrebbe generare prima frustrazione e poi un vero e proprio rifiuto esistenziale e sociale da parte dei giovani giapponesi: non sentendosi all’altezza degli standard richiesti (e provando vergogna per questo) decidono di chiudersi in casa, rifiutando il mondo per evitare l’oppressione della realtà che li circonda.

Ma esiste il fenomeno dell’Hikikomori fuori dal Giappone? Secondo le ultime ricerche in materia, sembrerebbe che tale fenomeno si sia esteso anche al di fuori dei confini dell’impero del Sol Levante. Ma come è possibile che un fenomeno così legato alle dinamiche giapponesi esista anche in società completamente diverse? La ricerca psicologica e sociologica è ancora al lavoro, ma basti sapere l’Hikikomori sta trovando terreno fertile anche in Italia. Le stime parlano di circa 30mila casi benché non sia ancora noto, con estrema precisione, quanti siano realmente i giovani italiani che hanno deciso di non avere più contatti col mondo esterno.

A parlare del fenomeno italiano è stato Antonio Piotti, che, insieme a Roberta Spiniello e Davide Comazzi, ha pubblicato “il corpo in una stanza”, la prima indagine sui cosiddetti Hikikomori italiani. Anche in questo caso è il senso di vergogna e di inadeguatezza sociale a creare un vero e proprio corto circuito nella mente dei giovani.

Ma qual è il percorso che può portare un hikikomori alla guarigione e al reinserimento nella società? L’approccio medico-psichiatrico è molto battuto, soprattutto in Giappone: la tendenza è quella di trattare il disturbo come se si trattasse di una patologia mentale, quindi con ricovero ospedaliero, psicoterapia e assunzione di farmaci. Esiste anche un approccio che guarda al fenomeno come, sostanzialmente, un problema di socializzazione. In questo caso, il giovane viene seguito col fine di riprendere contatto con la realtà.

Nel caso degli Hikikomori è fondamentale non dimenticarsi della loro esistenza e, anzi, lavorare per trovare una via d’uscita, psicologica e comportamentale, in una vita fatta di auto-esclusione e rinuncia.

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