Dodici milioni di ettari di bacino amazzonico andati in fumo quest’anno a causa degli incendi. Un’area che copre quasi l’intera Grecia, rispetto all’anno scorso infatti è triplicata. Il Brasile certo ha pagato il prezzo più alto ma le fiamme hanno invaso anche alcuni dei 9 Paesi che sono parte dell’Amazzonia. La nostra inviata, Monica Pinna, è stata in Bolivia, dove il numero e l’estensione dei roghi non sono mai stati così alti.
Dallo scorso gennaio sono stati infatti 5 milioni gli ettari di foresta e della savana divorati dalle fiamme, di cui un paio soltanto negli ultimi due mesi. Il fuoco sta minacciando 1200 specie di animali (più di due milioni di animali selvatici, tra cui giaguari, puma e lama, sono morti in settimane di incendi, secondo i dati comunicati dalla Università di Santa Cruz) mentre le comunità indigene amazzoniche parlano di “genocidio ambientale”. Cinquemila le persone in tutto coinvolte nei soccorsi ma diversi incendi restano fuori controllo.
Siamo stati a Santa Cruz, dove la foresta della Chiquitania (Bolivia nordorientale) ha subito i maggiori danni. Le autorità locali parlano di circa 45 incendi ancora attivi e le fiamme si sono espanse in nuove aree. La popolazione locale è coinvolta nelle attività di spegnimento, come Gregorio, un allevatore della comunità di Guadalupe. Lo abbiamo seguito nella foresta dove ha lavorato 2 settimane per spegnere le fiamme e ci ha riferito come insieme a gruppi di altri residenti si sono organizzati per spegnere le fiamme.
Tra le cause addebitate dagli esperti di questi continui grossi incendi viene additata l’antica pratica del chaqueo che consiste nel tagliare e poi dare fuoco ai campi. Pratica un po’ sfuggita di mano, mentre i venti forti e le alte temperature hanno complicato le cose. Evo Morales, primo indigeno a diventare presidente, candidato per il quarto mandato, è stato accusato dagli ambientalisti e dai residenti di incoraggiare lo svilupparsi degli incendi, dopo aver autorizzato legalmente, con un decreto, la pratica del chaqueo con l’obiettivo di trasformare le foreste in campi coltivabili.
Morales ha inoltre richiesto l’intervento dell’Unione europea dopo proteste di massa. Residenti e eambientalisti chiedono al presidente boliviano di dichiarare lo stato di calamità naturale in modo da sbloccare ulteriori aiuti internazionali.