Scosse di assestamento da parte americana. Le dichirazioni sismiche del capo della diplomazia di Washington, Mike Pompeo, sulla non illegalità internazionale delle colonie israeliane hanno provocato il crollo di una delle ultime certezze in Palestina.
E lo stesso Pompeo si incarica della ricostruzione della fiducia, o almeno, ci prova: «È un problema complesso che può essere risolto solo con i negoziati tra israeliani e palestinesi. Gli Usa confermano il loro grande impegno nel facilitare soluzioni pacifiche e farò di tutto per sostenere questo fine».
Un implicito sostegno alle colonie israeliane che arriva dopo la rottura di altri tabu, come il riconoscimeto di Gerusalemme capitale dello stato ebraico e quella delle alture del Golan come appartenenti ad Israele.
Una vittoria per Benjamin Netanyahu, che fatica a restare a galla dopo le due elezioni inconcludenti di quest’anno, ma che è destinata a sollevare le critiche della comunità internazionale e l’ira dei palestinesi.
Per Saeb Erekat “stanno veramente sbattendo le porte in faccia al diritto internazionale e spalancando quelle dell’estremismo, del terrorismo, della violenza, della corruzione, dello spargimento di sangue. Costringono i popoli a convincersi che l’unico modo di risolvere i problemi sia attraverso la violenza e non con i mezzi pacifici”.
L’Unione europea e altri membri della comunità internazionale hanno sempre appoggiato il principio di illegalità della colonizzazione dei territori occupati, stando a quanto stabilisce la convenzione di Ginevra e una risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu.
L’ex negoziatore per gli Stati Uniti Martin Indyk ha definito l’operazione “totalmente gratuita” e “uno schiaffo in faccia per i palestinesi”.
È la terza volta che l’amministrazione Trump abbandona alcuni punti fermi della politica Usa nell’area.