Fin dalle sue origini, la Cattedrale di Palermo ebbe funzioni di culto e di fortezza, e anche quella di tempio funerario riservato ai re, alle loro famiglie e agli arcivescovi. Furono infatti riservati a tal fine due spazi simmetrici nel “santuario” ai lati del coro.
La Cattedrale palermitana, la cui storia riflette e sintetizza quella della città, ha subito, attraverso i secoli, continui rimaneggiamenti, restauri, aggiunte e modifiche, di cui talune a volte discutibili. Alla prima metà del XV secolo, risale il prezioso portico della facciata meridionale, mirabile manufatto architettonico-scultoreo del maestro della fabbriceria del Duomo, il “Magister Marammae” Antonio Gambara.
Il portico, ritenuto un grande capolavoro dell’arte siciliana, rimarca fortemente i caratteri stilistici dell’architettura catalana in gotico fiorito.
Le tre arcate ogivali, di forma arabeggiante, fiancheggiate da due torri laterali, sono sovrastate da un grande timpano, inquadrato da una fascia decorativa di elementi scultorei che raffigurano animali in movimento, figure vegetali e antropomorfe “l’albero della vita”.
Sotto il portico, si trovano bassorilievi di grande interesse storico, che celebrano l’uno l’incoronazione di Vittorio Amedeo II di Savoia, l’altro quella di Carlo III di Borbone, avvenute entrambi nel Duomo palermitano. Nel 1466 l’arcivescovo Nicola Puxades arricchì il duomo di un pregiatissimo coro ligneo intagliato fatto di 78 fastosi stalli corali, in stile gotico catalano.
Nel XVI secolo si volle ornare l’abside maggiore della chiesa con una grande tribuna marmorea, della cui esecuzione fu incaricato il più grande scultore siciliano del Cinquecento, Antonello Gagini. La famosa tribuna, che richiese più di mezzo secolo di lavoro (la terminarono i figli di Antonello), conteneva in due ordini di nicchie 47 statue di santi ed era sovrastata dalla figura del Padre Eterno tra una gloria di angeli.
Opera grandiosa e di grande ricchezza artistica, la tribuna del Gagini pur col suo carattere discordante con quello dell’antica cattedrale gualteriana, era per essa altamente decorativa, anche se mancava di un criterio unificatore. La sua sciagurata distruzione rientra nell’opera di rinnovamento della Cattedrale avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo (la maggior parte delle sue statue furono sistemate fuori dal tempio a coronamento delle mura esterne).
La decorazione esterna della chiesa fu compiuta in tempi diversi, compresa la costruzione degli ordini superiori delle quattro torri angolari scalari, del prospetto occidentale e ancora della torre campanaria attuale (costruita in stile neogotico nel 1805 su progetto di Emanuele Palazzotto).
Nei continui tentativi di adeguare l’antico edificio allo stile architettonico dei tempi, nel 1767 don Ferdinando Fuga, regio ingegnere alla corte dei Borboni, su commissione dell’arcivescovo Filangeri, elaborò un grandioso progetto di totale trasformazione e ammodernamento della chiesa.
Accantonato per molti anni, il progetto fu ripreso e affidato alla direzione degli architetti Giuseppe Venanzio Marvuglia e Salvatore Attinelli, che vi lavorarono dal 1781 al 1801. Questi lavori comportarono la cancellazione di almeno tre quarti della primitiva architettura: gli interni dell’antica fabbrica furono totalmente riconfigurati, vennero smembrati i gruppi di colonne tetrastili, per fare posto ad una severa sequenza di grandi pilastroni intercalati da archeggiature a tutto sesto della più severa concezione neoclassica.
Profonde alterazioni subirono le navate, sia quella centrale che quelle laterali. La trasformazione più evidente riguardò l’area presbiteriale, modificando nelle proporzioni l’originale “titulo” (coro) ed “antititulo” dell’antica basilica gualteriana. Il coro modificato fu prolungato fino all’abside maggiore, si ricostruì il transetto e nel contempo fu innalzata una solenne cupola neoclassica, la cui altezza doveva sovrastare tutte le altre della città.
La Basilica normanna venne pesantemente deturpata e si trasformò in un’austera chiesa della controriforma, abolendo così ogni ricordo di quella che fu la più grande delle Cattedrali normanne di Sicilia.
Anche l’esterno subì delle trasformazioni, in analogia alla riconfigurazione dei volumi originari dell’interno, mantenendo comunque sempre una impronta non priva di raffinatezze architettoniche.
La decorazione esterna originaria, caratterizzata da una ricca decorazione a tarsie bicrome (in cui la pietra chiara è alternata con pietra lavica) venne in parte occultata: la parte absidale del prospetto orientale, è quella più originale (XII secolo), presenta una decorazione ad intreccio di archi ciechi, a tarsia lavica, con motivi geometrici che si intersecano dando vita al tipico disegno a doppia archeggiatura, analoghi motivi ornamentali si ritrovano parzialmente anche nelle absidi del Duomo di Monreale. Del suo attuale aspetto, assieme al portico del fronte meridionale, questa è la parte della Cattedrale più suggestiva, di più elevato fascino architettonico e che colpisce più il visitatore.
Tantissime e pregevoli sono le opere d’arte che si conservano nel Duomo, soprattutto del periodo rinascimentale. Tra le tante preziose testimonianze d’arte oggi esistenti nel tempio, si devono ricordare la cappella del Sacramento, con un prezioso ciborio secentesco in lapislazzuli, l’altare del Crocifisso in cui si venera un antichissimo simulacro di Cristo, di grande intensità drammatica, dono di Manfredi Chiaramonte nel XIV secolo, le acquasantiere della navata centrale opere di Domenico Gagini e Giuseppe Spatafora, un fonte battesimale di forma ottagonale, opera degli scultori Filippo e Gaetano Pennino, la Madonna Libera Inferni, opera di immateriale bellezza di Francesco Laurana e tantissime altre opere di grandi artisti.
Infine la famosa cappella di Santa Rosalia, luogo di venerazione per i palermitani, posta nell’abside minore del transetto di destra, che conserva i resti mortali della Santa Patrona della città racchiuse in una preziosa urna d’argento, pregevolissimo lavoro di abili artisti siciliani del seicento su disegno di Mariano Smiriglio. Le statue della tribuna del Gagini, che erano state lungo tempo all’esterno, alla fine dell’ultima guerra, sono state riportate nell’interno e addossate ai pilastri della navata maggiore. Occorre inoltre, far cenno sia del tesoro, ricco di preziosi paramenti e suppellettili, argenti sacri e paliotti d’altare, i cui pezzi di maggiore interesse sono la corona e i gioielli tratti dal sepolcro di Costanza d’Aragona, sia della cripta (che secondo molti studiosi appartiene all’antica fabbrica nicodemiana), ricca di antichi sarcofagi di cui alcuni paleo-cristiani.
Le tombe reali
Posti in un angolo della Cattedrale, a sinistra dell’ingresso del portico meridionale, troviamo gli avelli regali, che originariamente, come già accennato, erano situati nel coro. Caratterizzati da una semplicità grandiosa e solenne i sepolcri dei monarchi siciliani sono una delle maggiori attrattive per chi visita la Cattedrale. Nel primo vano troviamo la tomba dell’imperatore Enrico VI di Hohenstaufen realizzata in porfido massiccio e baldacchino sempre in porfido a forma di tempio. Simile alla prima è la tomba della moglie, l’imperatrice Costanza d’Altavilla, mentre il baldacchino è in marmo bianco e presenta una decorazione musiva con tessere d’oro: incassata nella parete di fondo della cappella troviamo il sarcofago in marmo bianco di epoca romana, dell’imperatrice Costanza d’Aragona, figlia di Alfonso II d’Aragona e prima moglie di Federico II, nel cui fronte è scolpita una piacevole scena di caccia. Nel secondo vano si trova il monumento sepolcrale del grande Federico II, tutto in porfido rosso appoggiato su un basamento formato da due coppie di leoni che sostengono l’urna nella curva dei loro dorsi: il sarcofago di Federico reca scolpiti sul coperchio, dei tondi dove sono rappresentati i quattro evangelisti, il Redentore e una Madonna con Bambino. Il sarcofago contiene altri due corpi, quello di Pietro III d’Aragona e quello di una giovane donna la cui identità è ancora avvolta nel mistero (forse la nipote Beatrice, figlia di Manfredi). Dietro la tomba di Federico si trova il sarcofago di Ruggero II, primo re di Sicilia, costruito in lastre di porfido squadrate sostenuto da telamoni scolpiti in marmo bianco, è coperto da un baldacchino marmoreo con decorazione musiva, molto simile a quello della figlia Costanza d’Altavilla: nella parete di sinistra che delimita la cappella con la tomba di Federico, troviamo il sarcofago di Guglielmo d’Aragona duca di Atene e figlio di Federico III d’Aragona. Due dei sarcofagi di porfido sono quelli che re Ruggero II fece sistemare nel Duomo di Cefalù per accogliere le sue spoglie e quelle del suo successore. Il nipote, l’imperatore Federico II, non rispettando le volontà del nonno, con un atto di prepotenza nel 1215 li fece traslare nella Cattedrale di Palermo, dove accolsero le salme dei suoi genitori, Enrico VI e Costanza d’Altavilla. Al sepolcro di Federico provvide il figlio Manfredi. Alcuni studiosi sostengono invece, che il sarcofago di Federico sia uno dei due “cefaludensi” e che l’altro sia quello di Enrico.
Prima di concludere questo sguardo sulla Cattedrale di Palermo, occorre ricordare che nella sua lunga e tormentata vita, la nostra “Chiesa Madre” è stata silenziosa testimone della vita del popolo palermitano e anche di tantissime vicende storiche. Oggi più che un monumento, rappresenta una preziosa testimonianza di espressioni artistiche e architettoniche diverse, e visitarla è come sfogliare della pagine di storia e di arte.
La Cattedrale di Palermo fa parte del percorso arabo-normanno patrimonio mondiale dell’Unesco.