“Elezioni farsa e candidati marionette”. Il j’accuse del presidente di Algériens Sans Frontières
“No al voto, no alla farsa”. L’Algeria che non crede alle presidenziali continua a invadere le piazze e a reclamare che – spazzato via Bouteflika – se ne vadano anche i residui esponenti del suo ventennale regno. L’accusa, condivisa dal presidente di Algeriens Sans Frontières Lachemi Belhocine, è che vi appartengano anche i cinque candidati in lizza questo giovedì. “Mi spiace doverlo dire, ma nessuno crede a queste elezioni – ha detto a euronews dalla Svizzera, dove vive ed esercita come avvocato -. E’ una vera e propria messinscena. Pochi giorni fa appena il Ministro degli interni, un personaggio chiave quindi della politica, si è permesso di insultare le algerine e gli algerini. E questo prova ancora una volta che il popolo ha ragione a non fidarsi di questo regime”.
Cinque candidati, un solo spettro: quello dell’ancien régime di Bouteflika
Deludente, agli occhi di molti critici, anche il primo confronto televisivo tra i cinque candidati: qualche promessa generica, la corsa ad aggiudicarsi la palma di avvocati della piazza in rivolta, e poco più. “Questi cinque candidati non sono stati capaci di mobilitare neanche mille persone – ha detto ancora Belhocine a euronews -. A mio avviso questo dice già tutto e prova che sono soltanto marionette. Semplici emanazioni di altrettanti gruppi che si stanno dando battaglia sulla scena di queste elezioni farsa. Personalmente non credo affatto alle loro candidature”.
La piazza non si arrende e rilancia: “Sciopero generale fino al giorno del voto”¨
Lahchemi Belhocine è anche l’avvocato che ha promosso la richiesta, avanzata alcuni mesi fa alle autorità svizzere, di congelare alcuni dei beni di cui si erano impossessati il presidente Bouteflika e i suoi fedelissimi. “Finora – lamenta ancora ai microfoni di euronews – non ho visto neanche l’ombra di un’azione concreta nella direzione della richiesta di un congelamento o di un recupero di questi beni, da parte del governo attuale”. Scetticismo che l’Hirak, il movimento che sta riempiendo le piazze dalla cacciata di Bouteflika a febbraio, condivide e rilancia, con una minaccia di sciopero generale fino al giorno del voto.