La consegna del Nobel per la letteratura a Peter Handke, martedì a Stoccolma, ha diviso l’Accademia e rinvigorito le proteste contro l’autore austriaco. Turchia, Albania e Kosovo hanno boicottato la cerimonia, in polemica con l’assegnazione del riconoscimento a uno scrittore che nelle sue opere e dichiarazioni ha preso le difese della Serbia nel conflitto dell’ex Jugoslavia, negando i crimini per cui Slobodan Milosevic è rimasto sotto processo all’Aia fino alla sua morte, nel 2006.
Nel freddo di Stoccolma, erano diverse centinaia a protestare con i bosniaci.
“Oltre a esprimersi in diverse sue dichiarazioni, Handke ha messo negato per iscritto il genocidio e i crimini di guerra commessi dai serbi nei Balcani”, ha spiegato la portavoce della manifestazione,Teufika Šabanović.
“Era amico del regime di Milosevic e non dei serbi – dice l’autrice Alida Bremer – Ho studiato a Belgrado e ho vissuto in Serbia per 8 anni. Ho molti amici lì e la maggior parte è contro di lui e condanna questo regime”.
Le dichiarazioni di Handke
Figlio di un soldato tedesco e di una madre slovena, Handke ha sempre sostenuto il progetto di Milosevic per quella che all’epoca era la Yugoslavia. “Smettiamo di paragonarlo a Hitler e non parliamo di genocidio, né di campi di concentramento”, scriveva ancora nel 2006 su Libération, auspicando il riconoscimento dei crimini “anche da parte musulmana”. Questioni su cui, dopo l’annuncio del Nobel, non ha voluto tornare: “Non è il momento”, aveva liquidato le polemiche.
Le madri di Srebrenica continuano a chiedere all’Accademia di ritirargli il Nobel e tra i giornalisti che hanno raccontato la guerra nei Balcani è nata una campagna sui social network per ristabilire la verità, accertata dalle sentenze del Tribunale penale dell’Aia. Anche se il processo a Milosevic non è mai arrivato a sentenza per la morte dell’imputato in una cella della città olandese.