In questi giorni Alvin Berisha passa la maggior parte del suo tempo a giocare ai videogiochi e a contare i “mi piace” che riceve su Instagram. Ma il bambino non ha esattamente condotto un’esistenza ordinaria fino ad ora. Alvin è stato appena portato via da quello che molti descrivono come l’inferno.
La storia di Alvin, diventato bambino dell’Isis e riportato a casa
Cinque anni fa, la madre di Alvin si è convertita all’Islam, ha abbandonato la casa di famiglia in Italia per entrare a far parte dell’Isis in Siria e ha portato il figlio di soli 11 anni con sé. Il padre si è imbarcato in un viaggio da incubo per riprendersi Alvin, bloccato in un campo profughi. Papà Afrim Berisha, originario dell’Albania e da oltre dieci anni residente a Barzago (Lecco), è riuscito a riportarlo in Italia dopo 5 anni.
“Riuscivo a pensare solo ad Alvin – racconta Afrim – non mi interessava nient’altro. C’era solo lui. Ho considerato i rischi, ma cosa dovevo fare? Alvin mi è stato portato via il 17 dicembre e il 1° gennaio ero in Siria. L’ho cercato per una settimana, ma non sono riuscito a trovarlo. Poi sono stato catturato dall’ISIS”.
Afrim è riuscito a pagare la sua fuga dalla prigionia. Per 500 euro un combattente dell’Isis, un albanese, ha accettato di lasciarlo andare. Ma il trovarsi faccia a faccia con il terrore non lo ha scoraggiato, è tornato in Siria ogni anno. Dopo l’ennesimo tentativo è riuscito finalmente a raggiungere il campo al-Hol, nel nord-est del paese, dove Alvin era stato trasferito alla morte della madre. In una lettera il bambino pregava il padre di riportarlo a casa.
L’avvocato che segue il caso di Afrim e Alvin, Darien Levani, commenta così l’odissea dell’uomo che ha combattuto la battaglia per riavere suo figlio: “Si è assunto la responsabilità che i nostri governi non vogliono assumersi – dice – ha trovato suo figlio, ha detto loro dove si trovava, è andato al campo e ha portato dei filmati da far vedere a tutti”.
Siria, nel campo profughi anche migliaia di bambini europei
Alvin è stato trovato ferito e solo dopo che sua madre è stata uccisa nella battaglia per la presa di Baghouz, l’ultimo baluardo dell’Isis in Siria. Ha trascorso quasi sei mesi nel campo di Al Hol, dove si trovano migliaia di altri bambini europei. Secondo la Croce Rossa, la storia di Alvin potrebbe rappresentare un precedente e avere un impatto significativo su altri casi: “Ci sono alcuni governi che hanno iniziato una discussione con noi sul rimpatrio di altri bambini – spiega Tommaso Della Longa, portavoce dell’IFRC (Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa) – è una situazione talmente complessa che non possono dire quel che succederà nel breve periodo. Probabilmente ci vorrà molto più tempo perché il contesto mediorientale è molto volatile. È importante il fatto che alcuni governi capiscano cosa si possa fare attraverso i canali della Croce Rossa”.
Alvin è un bambino e non sa che la sua storia e quella di suo padre potrebbero definire meglio la strada e incoraggiare i governi a perseguire i rimpatri dei cosiddetti figli dell’Isis. Per ora il suo unico obiettivo è questa seconda possibilità e il recupero dell’infanzia che gli è stata rubata.