Perché le tensioni mesopotamiche provocano la guerra dei metalli

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Brillano i mercati delle materie prime a ogni colpo di cannone. Con la fluidità vivace della situazione mediorientale, schizza il prezzo dei beni rifugio. Non solo petrolio, ma come vuole tradizione oro, quello giallo, e poi a sorpresa, il palladio. Quest’ultimo è un metallo sottoprodotto del platino che da un po’ di anni a questa parte stimola i desideri degli investitori in cerca di emozioni forti.

Basti vedere il grafico della febbre dell’oro e compararlo con quello del palladio in queste ore concitate di inizio 2020, per rendersi conto di quanto la classe operaia dei metalli vada in paradiso, valendo più del nobile parente che comunque raggiunge un valore record da sette anni a questa parte.

Quindi cifre alla mano: se a Gennaio 2019 un’oncia di palladio valeva 1145 Euro e una di oro 1124, oggi i loro prezzi sono rispettivamente a 1827 Euro e 1405.

Cosa succede quindi?

La storia della quotazioni del palladio è movimentata quanto un sismografo sull’Etna. Ad esempio, grande fu l’impennata del suo prezzo al momento del diesel gate.

C’è una ragione. Il palladio infatti oltre a essere utlizzato nella gioielleria, ha un’importanza crescente nell’industria automobilistica e viene impiegato nelle fabbricazione di marmitte catalitiche. Proviene soprattutto dalle industrie minerarie sudafricana e russa, anche se quest’ultima ha drasticamente ridotto la produzione, incidendo sul prezzo di questo minerale, sottoprodotto del platino.

Al momento la domanda del parvenu dei metalli preziosi supera infatti l’offerta, anche al netto dei condizionamenti fisiologici della speculazione. È versatile. Un po’ di palladio è per sempre. Almeno, in tempo di guerra.

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