La nomina dei sette membri democratici del Congresso che rappresenteranno l’accusa al processo al Presidente degli Stati Uniti completa il percorso che precede l’arrivo in aula.
Subito dopo l’annuncio, il presidente, che dovrà rispondere delle accuse di abuso di potere e ostruzione alla giustizia, twitta: “Ci risiamo, un’altra truffa dei nullafacenti democratici”.
La squadra che sosterrà l’accusa
Il team dei deputati-procuratori, denominati ‘manager’, sarà guidato dal presidente della commissione intelligence della Camera Adam Schiff, che ha già coordinato le indagini nella prima fase in cui si è arrivati alla messa in stato di accusa di Trump. Al suo fianco ci saranno il potente presidente della commissione giustizia della Camera Jerry Nadler e altri cinque tra cui la deputata Zoe Lofgren, già coinvolta in passato nei casi di impeachment di Bill Clinton e Richard Nixon.
Il primo atto dei ‘manager’ è stato l’invio al Senato degli articoli che contengono i reati contestati al presidente.
Le accuse al Presidente
Il primo reato si sarebbe realizzato nel momento in cui, per ottenere dal presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, l’avvio di indagini su un avversario politico, Joe Biden e il figlio, Trump avrebbe bloccato l’invio a Kiev dei fondi per la sicurezza già stanziati e votati dal Congresso. L’ostruzione alla giustizia, secondo i democratici, si sarebbe concretizzata nella decisione di Trump di non far testimoniare alcune persone dell’amministrazione convocate dalle commissioni, e dall’aver negato di consegnare documenti legati all’inchiesta.
La durata del processo
L’inizio del processo è previsto per martedì, il giorno dopo la festa dedicata a Martin Luther King. Quanto durerà, non è ancora possibile prevederlo ma si sa già che ci saranno restrizioni speciali, mai prese in una procedura di impeachment: nessun senatore potrà utilizzare il proprio smartphone, o qualsiasi altro apparecchio elettronico, durante la seduta al Senato, né potrà stazionare nei corridoi durante il dibattimento. E sarà vietato parlare con i colleghi che sono seduti vicino. Durante l’impeachment al presidente Bill Clinton, nel ’98, non fu decisa nessuna limitazione, tantomeno sull’uso dei telefonini, ma era anche un’epoca pre-smartphone.
Si moderano i toni
L’atto finale della Camera è arrivato al termine di una seduta che ha segnato, per la prima volta, il ritorno a toni più moderati tra i due partiti dopo le tensioni degli ultimi due mesi e il rischio stallo nella procedura.
Il repubblicano Doug Collins si è scusato pubblicamente con i democratici per l’attacco della settimana scorsa. Collins aveva definito i democratici “in amore con i terroristi”. “Fatemi essere chiaro – ha detto il repubblicano, in apertura d’intervento – non credo che i Democratici siano in amore con i terroristi”. La Speaker, Nancy Pelosi, ha subito accettato le scuse, applaudendo la scelta di pentirsi per quelli che ha definito “ridicoli commenti”.
Spuntano nuove carte
Nella mani dei democratici ci sono alcuni documenti che rischiano di compromettere ulteriormente Trump, inguaiando ancor di più il suo legale personale Rudolph Giuliani, il vero architetto delle pressioni esercitate sul governo ucraino.
Si tratta di decine di e-mail, messaggini, note, appunti messi a disposizione da Lev Parnas, uno degli uomini che ha lavorato per realizzare il piano di Giuliani e che settimane fa è stato arrestato insieme ad altre due persone per aver “cospirato aggirando le leggi federali contro l’influenza straniera e ricorrendo ad uno schema per far arrivare soldi stranieri a candidati per cariche statali e federali”.
Da alcune di queste carte in particolare emerge come l’ex procuratore ucraino Yury Lutsenko offrì informazioni compromettenti sull’ex presidente americano Joe Biden in cambio della rimozione dell’ambasciatrice Usa a Kiev Marie Yovanovitch.
La diplomatica statunitense fu poi effettivamente allontanata dall’amministrazione Trump senza tante spiegazioni, come lei stessa ha raccontato durante una drammatica testimonianza alla Camera.