Dal sequestro di una discarica a Gualdo Tadino, avvenuto nel 2016, i militari del Noe e i carabinieri forestali, di Perugia e di altri reparti locali, hanno scoperto un traffico illecito di pannelli fotovoltaici che interessava tutto il territorio nazionale, da Padova a Siracusa, passando per Treviso e Verona, Perugia, Monza, Bologna, Parma, Reggio Emilia e Bari.
Interessa insomma tutta Italia, l’indagine dei carabinieri del Noe di Perugia e dei militari del nucleo Forestale sempre di Perugia, coordinata dalla Direazione distrettuale antimafia della Procura perugina, che ha visto sette persone arrestate (due ai domiciliari), altre otto sottoposti ad obbligo di dimora e cinque alla sola presentazione alla polizia giudiziaria oltre a due imprenditori gravati da divieto di esercitare l’attività aziendale.
Nel corso dell’attività di indagine è stato disposto il sequestro di 12 strutture aziendali, tutte operanti nel settore del recupero dei rifiuti, in gran parte dovuti alla dismissione dei campi fotovoltaici, compresi beni immobili e mobili dovuti strumentali allo svolgimento dell’attività di impresa. Sono stati inoltre perquisiti altri cinque impianti ed è stata riconosciuta la responsabilità amministrativa a carico di 38 società connesse. Sono state denunciate in stato di libertà altre 71 persone che avrebbero illecitamente operato per avere “ingiusti profitti” in favore delle aziende indagate.
Come spiegato questa mattina in conferenza stampa a Perugia, le indagini hanno permesso di scoprire e disarticolare un sistema assai complesso dedito all’illecita gestione di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, soprattutto pannelli fotovoltaici.
Il tutto è partito da un sequestro, avvenuto nel 2016 da parte dei carabinieri del Noe di Perugia, di oltre trecento tonnellate di rifiuti in una azienda di Gualdo Tadino.
Nel capannone della ditta, operante nel settore della vendita delle materie prime derivanti dai rifiuti, erano state rinvenute 220 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi e circa cento tonnellate di rifiuti speciali pericolosi contenuti in alcuni cassoni scarrabili.
In quella occasione i militari avevano rinvenuto anche alcuni pannelli fotovoltaici che l’azienda, esibendo documentazione poi rivelatasi falsa, aveva dichiarato distrutti. Invece i dispositivi, ancora funzionanti, secondo quanto ricostruito, venivano riciclati con dati identificativi alterati e poi commercializzati su canali esteri, in Burkina Faso, Nigeria, Marocco, Mauritania, Turchia e Siria.
Gli approfondimenti compiuti dalla DDA Perugia hanno permesso di accertare che i pannelli presenti nell’azienda di Gualdo erano rifiuti speciali spacciati per apparecchiature elettriche ed elettroniche vetuste, grazie all’opera svolta dal “sodalizio criminale”. La legge prevede che il pannello fotovoltaico arrivato a fine vita non debba essere più utilizzato, ma demolito – in modo tale però da recuperarne parte della materia. Un circuito virtuoso sostenuto dal Gestore Servizi Elettrici, la Spa che controlla anche il pagamento degli incentivi riconosciuti dallo Stato ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili – inclusi condomini e privati – ha adottato appositi regolamenti che servano a contrastare il mercato illegale di pannelli da dismettere e distruggere, con incentivi per l’acquisto di un nuovo pannello.
Le investigazioni del Noe di Perugia, corroborate da altre indagini, sono risultate determinanti per determinare l’esistenza di più associazioni per delinquere, finalizzate al traffico illecito di rifiuti, anche transnazionale, al riciclaggio e all’auto-riciclaggio, alla falsificazione materiale e ideologica di documentazione. Un sodalizio esteso in tutta Italia, isole comprese, aventi come organizzatori e promotori – sostengono i carabinieri – i titolari di aziende di Gualdo Tadino, Traversetolo (Parma), Casale Sul Sile e Crespano del Grappa (Treviso) e Siracusa.
“Con grande disinvoltura – scrivono i carabinieri – gli odierni indagati ritiravano grandi partite di pannelli fotovoltaici, dichiarati come rifiuti solo per il tempo necessario a coprire il tragitto tra il luogo in cui venivano smontati e prelevati e l’impianto di trattamento. Una volta ricevuti dagli stabilimenti, le aziende producevano false dichiarazioni che attestavano la loro distruzione e il contestuale recupero di materia, (metalli vari, silicio, vetro, plastiche nobili e altre materie riutilizzabili), consegnando la documentazione agli ignari produttori del rifiuto che chiudevano il cerchio con il GSE, riscuotendo l’incentivo.
L’escamotage scoperto dai militari del nucleo tutela ambiente prevedeva la redazione, da parte di altre persone, di false certificazioni attestanti che i pannelli, nel frattempo muniti di etichette false, erano apparecchiature elettriche ed elettroniche tecnologicamente sorpassate ma ancora funzionali, circostanza che consentiva di bypassare i rigidi controlli nazionali ed esteri. Il guadagno era dunque triplice: gli indagati introitavano il compenso per il ritiro dei prodotti, eludevano i costi per il trattamento e rivendevano i pannelli fotovoltaici come apparecchiature elettriche usate ai paesi in via di sviluppo percependone il corrispettivo invece dei costi di smaltimento del rifiuto.
Al fine di accertare i profitti accumulati, i militari hanno proceduto al sequestro preventivo di dodici società, inclusi i messi, le apparecchiature mobili e immobili, per un valore stimato in 40 milioni di euro. Per tutte le aziende a vario titolo coinvolte, trentotto in totale, l’autorità giudiziaria ha ipotizzato la responsabilità amministrativa degli enti.