Era diventata una “bambina invisibile” quando i nazisti la allontanarono dalla scuola, dalla vita quotidiana per mandarla ad Auschwitz insieme agli altri ebrei. Ora Liliana Segre si sente “nonna di se stessa”, di quella “bambina magra e sola” che nei suoi ricordi la senatrice a vita dice di non sopportare più. Ci sono lacrime e commozione intorno a lei quando racconta la sua storia nell’aula del Parlamento europeo, parlando a braccio, tutto d’un fiato, nella convinzione di dover insistere a raccontare il ‘Male’ ai giovani di oggi, spesso figli di “genitori molli” (parole sue), ma anche nella consapevolezza di doversi ritirare, alla bella età di 91 anni, non tanto per stanchezza fisica ma per ripararsi dai quei ricordi nel calore della sua famiglia.
Applausi e standing ovation. L’ebrea italiana scampata ad Auschwitz porta a Bruxelles la testimonianza vivente di orrori che riecheggiano ancora nel presente in tutto il continente. “Il razzismo e il nazismo non sono opinioni, ma crimini”, dice prima di lei il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, incassando anche una standing ovation (non proprio di tutta l’aula), in questa commemorazione del giorno della Memoria che cade nello stesso giorno del voto della plenaria sull’accordo sulla Brexit, l’addio ai parlamentari britannici, momento storico e triste per l’Ue, cui si aggiunge l’emozione per la senatrice a vita e la sua battaglia per far vivere il ricordo, quanto mai utile ad una modernità che ha riscoperto il razzismo con una nonchalance stupefacente.
“Il razzismo e l’antisemitismo ci sono sempre stati e ci sono tuttora, perché sono insiti dell’animo dei poveri di spirito”. C’è chi “si volta dall’altra parte” e ci sono coloro che “approfittano di questa situazione e trovano il terreno adatto per farsi avanti”, dice la senatrice senza nominare direttamente chi fa politica soffiando sul razzismo di chi è vittima della “paura”, ma lasciandosi intendere benissimo.
Segre parla lentamente, con le pause al momento giusto. Si può dire che parli per immagini. Seguirla è come vedere un film in bianco e nero, tra fili spinati, freddo e umanità negata. Scriverne invece è compito che si accompagna al timore di trasformare le sue parole in retorica: una responsabilità di chi scrive.
“Si prendevano le nostre case, i nostri uffici. Anche il cane. Se era di razza”, racconta la senatrice, con tutta l’enfasi che può sulla parola ‘razza’, parola che ancora “sentiamo dire, e per questo dobbiamo combattere questo razzismo strutturale, che c’è ancora”.
Agli eurodeputati, tra loro anche iscritti all’Afd, il partito dell’ultra-destra tedesca, Segre racconta della “marcia della morte”, quella che migliaia di prigionieri ebrei furono costretti a intraprendere per essere trasferiti dai campi in Polonia a quelli in Germania, nel ’44-45, quando i russi erano alle porte.
“Non potevi accasciarti sennò ti uccidevano”. Si andava avanti, “una gamba dopo l’altra, era la forza della vita” che sosteneva ragazzi e ragazze “senza sesso, senza mutande, senza mestruazioni, senza seno: così si toglie la dignità a una donna”.
Segre ha 89 anni ma trasuda schiettezza, modernità e nemmeno una goccia di retorica. Dopo la guerra, “quando le compagne mi ritrovarono dopo anni, mi dissero: ‘Dove sei andata a finire? Non ti abbiamo più vista a scuola…’ Io allora ero una ragazza selvaggia, non sapevo mangiare con forchetta e coltello” perché nei lager “mangiavamo come bestie. Ero bulimica, disgustosa criticata anche da chi mi voleva bene e voleva di nuovo la ragazza borghese con una buona educazione familiare…”.
“I ricordi di quella ragazzina non mi danno pace da quando sono diventata nonna”, conclude Segre, nonna di tre nipoti e madre di tre figli. “Non posso più sopportare quella ragazzina magra e sola. Sento che se non smetto di parlare, se non mi ritiro a godere della mia famiglia, non ce la farò più”.
E’ il suo addio al pubblico che per trent’anni l’ha ascoltata nelle scuole, un addio pronunciato davanti ai rappresentanti dei paesi europei affinché raccolgano il testimone. Altri tre mesi, fino ad aprile, e poi Segre si ritirerà in privato, a cercare di dimenticare quella “ragazza magra e sola” e immaginare di essere invece la farfalla disegnata dai bimbi ebrei nei lager di Terezin, in Cecosvolacchia, libera di “volare su un filo spinato”.
“Come tedesca avverto un senso profondo di colpa per coloro che sono stati uccisi nella mia nazione”, dice Ursula von der Leyen, la presidente tedesca della nuova Commissione europea. Ed elenca le città che hanno ospitato i lager nazisti: “Auschwitz, Birkenau…”. Ecc ecc.