Cina, mercati in crisi per il Coronavirus

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Il bollettino del 30 gennaio in Cina è 170 morti e 7.711 infettati ma la crisi sanitaria causata dal coronavirus è anche una crisi economica. Se l’influenza polmonare continua a diffondersi – stima la banca d’affari Morgan Stanley – la Cina potrebbe perdere un punto percentuale di Pil nel primo trimestre del 2020, analisi su cui altri economisti concordano. Il calo cinese potrebbe avere ripercussioni mondiali: se i picchi del contagio arrivano tra febbraio e marzo – si ipotizza nel report di Morgan diffuso da Reuters – la crescita globale potrebbe calare tra 0,15 e 0,3 punti nel primo trimestre dell’anno ma se l’emergenza passa come si prevede e spera, si dovrebbero smaltire gli effetti negativi nel corso dell’anno.

Paura mondiale
In queste ore prevale però la preoccupazione, sia dei mercati asiatici – la Borsa di Taiwan ha perso il 5,75%, Tokyo l’1,7%, Hong Kong il 2,86% – sia del governatore della Federal Reserve, Jerome Powell: «Il virus genera incertezze sulla crescita e sulle prospettive dell’economia mondiale». Powell ha paura e non lo nasconde: «È una questione molto seria e molto probabilmente provocherà problemi all’economia cinese e a livello globale. La Fed sta già monitorando da vicino l’andamento e l’impatto dell’epidemia».

Il gigante isolato
Il primo settore colpito è quello turistico. La Cina è ora un gigante ferito e isolato: grandi compagnie aeree occidentali hanno deciso di bloccare i voli tra il 28 e il 29 gennaio: la prima è stata British Airways, a seguire Lufthansa che riprotegge i passeggeri su Air China (fino al 9 febbbraio) e quindi Swiss e Austrian Airlines. American Airlines ha sospeso i voli tra Los Angeles, Pechino e Shanghai dal 9 febbraio al 27 marzo, resta operativo il volo da e per Dallas.

Nella serata del 30 gennaio, l a decisione drastica dell’Italia: sospeso tutto il traffico aereo da e per la Cina.

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Nella mattina del 30 gennaio il gruppo americano Carnival aveva perso il 6% alla Borsa di Londra perché a bordo di una sua nave crociera Costa Smeralda, ora ferma nel porto di Civitavecchia, sono stati segnalati due casi sospetti di coronavirus.

Multinazionali occidentali in fuga
Multinazionali simbolo come l’americana Starbucks ha chiuso metà dei suoi 4.300 caffè sparsi nel Paese, chiusi anche centinaia di McDonald’s e una dozzina di negozi di abbigliamento della catena svedese H&M e della catena giapponese del cashmire low cost Uniqlo. Il settore moda ne ha risentito subito, anche fuori dai confini cinesi, esempio la preoccupazione nelle boutique di Roma e Milano.

La svedese Ikea ha chiuso tutti i 30 negozi e ha limitato i viaggi in Cina dei dipendenti, stessa misura presa da Facebook. Anche Google ha deciso di chiudere temporaneamente tutti gli uffici in Cina, Hong Kong e Taiwan. Il governo russo ha ordinato di chiudere la frontiera con la Cina per vietare la propagazione anche via terra dell’influenza, stessa misura adottata poi dalla Nord Corea.

Dipendenti cinesi a casa
In grandi aziende come Alibaba, Novartis e Volkswagen stanno chiedendo al personale cinese di lavorare da casa. Il governo di Pechino ha ordinato a tutte le aziende anche quelle straniere quindi italiane, e anche a quelle lontane un migliaio di chilometri dalla zona di Wuhan, focolaio dell’epidemia, di non riaprire gli stabilimenti prima del 9 febbraio e non il 3 come previsto dal calendario festivo.

Bytedance, gruppo proprietario di Tik Tok, ha chiesto ai dipendenti che hanno viaggiato durante le feste del Capodanno cinese di mettersi da soli in quarantena per 14 giorni. Una richiesta simile hanno fatto la società dell’ecommerce Pinduoduo e UBS Group. Quella di HSBC, Goldman Sachs e Standard Chartered è più di una richiesta: hanno vietato ai dipendenti i viaggi in Cina e a Hong Kong.

Stabilimenti chiusi
Lo sterminato made in China, il manifatturiero e soprattutto l’hi tech è bloccato. La crisi del coronavirus è scoppiata durante le feste per il Capodanno cinese quindi gli stabilimenti erano chiusi ma causa influenza non hanno riaperto. Quindi adesso sono ferme sia le fabbriche automobilistiche – Toyota ha fermato la produzione in Cina fino al 9 febbraio – sia quelle dell’hi tech dove si producono i componenti degli smartphone diffusi in tutto il mondo.

Più gli stabilimenti restano chiusi, più la produzione ne risentirà, dice al Financial Times Mark Williams, capo economista Asia per Capital Economics che prevede una crescita cinese dimezzata nel primo trimestre 2020.

Forse non sarà solo il Pil della Cina a risentire della paralisi ma anche i conti di grandi aziende: l’americana Tesla prevede già che un ritardo dell’uscita delle auto Model 3 prodotte a Shanghai potrebbe pregiudicare i profitti del primo trimestre del 2020. Appleha chiuso tutti i negozi in Cina, ha limitato i viaggi, si sta preparando a eventuali interruzioni della produzione e ha già annunciato ricadute per l’incertezza dovuta all’epidemia: il 30 gennaio è stato il giorno dei conti e quelli di Apple sono andati benissimo, oltre le attese e bene andrà anche il primo trimestre 2020, prevede il CFO Luca Maestri, ma non si sa quanto: per la prima volta il range tra i possibili risultati positivi è molto ampio.

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