“La comunità internazionale deve agire per proteggere i civili e imporre una no-fly zone” sulla regione di Idlib nel nord-ovest della Siria. Lo scrive su Twitter il capo della comunicazione della presidenza turca, Fahrettin Altun, dopo l’uccisione ieri sera di almeno 33 soldati di Ankara in un raid attribuito all’aviazione di Damasco. “Una ripetizione dei genocidi del passato come in Ruanda e Bosnia non può essere permessa a Idlib”, ha aggiunto.
Gli Stati Uniti chiedono alla Siria e alla Russia di fermare “l’odiosa offensiva” contro le forze turche. “Noi siamo con il nostro alleato della Nato, la Turchia, e la sosterremo”, ha affermato un portavoce del Dipartimento di stato Usa.
Drammatica escalation militare a Idlib, la regione del nord-ovest della Siria dove da settimane sono in corso duri scontri tra le forze governative appoggiate dalla Russia e le milizie ribelli sostenute dalla Turchia. Un raid aereo che Ankara attribuisce all’esercito di Bashar al Assad ha provocato la morte di almeno 29 soldati turchi. Ma il bilancio potrebbe rivelarsi molto più grave, perché numerosi sono i militari portati d’urgenza negli ospedali turchi appena oltre il confine. Diversi di loro rischiano la vita, secondo il prefetto locale. L’Osservatorio siriano per i diritti umani fissa il bilancio ad almeno 37 soldati morti. Di certo si tratta di una delle più gravi perdite degli ultimi anni per le forze armate di Ankara in un singolo attacco.
Che la situazione sia ritenuta grave lo conferma il Consiglio di sicurezza nazionale convocato d’urgenza per due ore dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha avuto in serata un colloquio telefonico con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg per discutere delle possibili misure da prendere nel quadro dell’Alleanza, cui Ankara potrebbe ora chiedere il sostegno sul terreno. E anche gli Usa si muovono. Il senatore repubblicano Lindsay Graham, influente sostenitore del presidente Donald Trump, ha chiesto un intervento immediato per garantire una no-fly zone nell’area degli scontri, mentre il ministro della Difesa turco Hulusi Akar aveva affrontato poco prima i risvolti di una situazione già esplosiva con il suo omologo americano Mark Esper. Ankara intanto replica alla notizia dei soldati uccisi diffondendo un enorme bilancio di presunte vittime tra le forze di Assad.
L’esercito ha rivendicato di aver “neutralizzato” (cioè ucciso o ferito) in 17 giorni di scontri almeno 1.709 soldati delle truppe governative siriane, distruggendo inoltre 55 tank, 3 elicotteri, 18 mezzi blindati, 29 obici, 21 mezzi militari e diversi depositi di armi e munizioni del regime. In ballo in questa crisi, che ha già provocato un milione di sfollati, non c’è solo la temuta deflagrazione di un nuovo fronte della guerra in Siria, alla vigilia del nono anniversario del suo inizio, ma anche l’alleanza strategica tra Turchia e Russia. Proprio stasera si è concluso un nuovo round di colloqui tra i due Paesi in cerca di un accordo. Mentre il governo di Ankara insiste per un rispetto del cessate il fuoco e dei confini stabiliti dall’accordo di Sochi tra Erdogan e Vladimir Putin nel settembre 2018, escludendo di arretrare i suoi avamposti militari, Mosca continua a sostenere l’offensiva di Damasco contro i “terroristi” ribelli, tra cui diversi gruppi jihadisti. Il summit che Erdogan voleva organizzare la prossima settimana a Istanbul per mettere a posto le cose con Putin, Angela Merkel ed Emmanuel Macron è saltato, e per ora non c’è conferma da parte del Cremlino neppure di un bilaterale tra i leader. Segnale questo di una distanza troppo forte per poter essere colmata nel solito faccia a faccia tra “amici”.
Intanto, la Turchia avrebbe deciso di non bloccare più alle sue frontiere i rifugiati siriani che intendano recarsi in Europa. Secondo fonti governative riportate da media locali, si tratterebbe di un’iniziativa di fatto presa probabilmente come reazione al mancato sostegno che Ankara lamenta a Idlib, dove almeno 22 suoi soldati sono stati uccisi stasera in un raid aereo siriano e quasi un milione di nuovi profughi sono fuggiti verso i suoi confini. In concreto, sarebbe stato ordinato alla guardia costiera e alla polizia alle frontiere terrestri di lasciar passare senza controlli eventuali rifugiati siriani. Non c’è al momento alcuna conferma ufficiale da parte delle autorità di Ankara. Un’iniziativa del genere era stata ripetutamente minacciata in passato dal presidente Recep Tayyip Erdogan.