Coronavirus, pandemia e quarantena non rappresentano la nostra sconfitta

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Forza Wuhan!” gridavano in coro, ciascuno dalla sua finestra, i  cittadini della città da cui  avrebbe avuto inizio la pandemia da Covid-19. Dall’Italia guardavamo le immagini con stupore, a volte con indifferenza, molto più spesso con incredulità. In fondo, la Cina era così lontana e il nuovo anno era appena iniziato.

Napule è” cantano in questi giorni di marzo i napoletani in quarantena nei loro appartamenti, e tutto il Paese, sospeso, si stringe con mesta commozione a quel coro unanime. La Cina non era poi così lontana.

Se dovessimo banalizzare con una frase il nostro futuro, potremmo dichiarare che nulla sarà più come prima. Se cercassimo una spiegazione al di fuori della logica pandemica, dovremmo ammettere, nostro malgrado, che la Natura abbia voluto punirci, impartirci una dura lezione. Una brutale rottura dalle nostre abitudini quotidiane per disintossicare l’umanità dall’abiezione in cui è piombata, per salvarla dai vizi e dalla frivolezza, affrancarla dall’odio sociale, liberarla dal male, svincolarla dalla crudeltà che stiamo infliggendo agli esseri viventi e all’ambiente, purificarla da tutto ciò che l’ha decentrata dalla sua essenza primordiale. Una violenta battuta d’arresto per ritrovare il senso della vita, riallacciare i rapporti più cari, recuperare il tempo che abbiamo perduto e tutti quei valori fondamentali che forgiarono  i nostri nonni e che le nuove generazioni non hanno neppure conosciuto.

Perché, forse, la pandemia che stiamo attraversando non è la nostra sconfitta. Forse, questa dura prova a cui siamo stati chiamati è sopravvenuta per ristabilire un ordine, per riconsegnarci le priorità esistenziali, ciò che abbiamo abbandonato nella folle corsa dell’era moderna. Forse, è arrivata per indicarci ‘la via’. 

Stiamo sperimentando la separazione

Il Covid-19 ci sta insegnando che siamo globalmente connessi, che non esistono confini tra noi e gli altri, e il dolore di uno è il dolore di tutti. Stiamo provando la solitudine della distanza, l’allontanamento coatto dai nostri cari e, soprattutto, stiamo imparando che non siamo i padroni del pianeta, che ne siamo soltanto i suoi ospiti, e che quello che ci viene concesso è esclusivamente un prestito.

Stiamo sperimentando l’incertezza

La pandemia ci sta rendendo consapevoli che niente dura per sempre: la gioia come il dolore, la povertà come la ricchezza, la salute come la malattia. Stiamo realizzando che tutto può cambiare da un momento all’altro senza che qualcuno debba chiederci il permesso. Una carriera brillante, un progetto di successo, un’attività redditizia, persino un semplice gesto come gustare un gelato passeggiando in un parco può sparire con uno schiocco di dita.

Stiamo sperimentando la perdita

Il Coronavirus ha fatto emergere tutte le nostre fragilità e le nostre debolezze. Ci siamo trovati dinnanzi alla paura di morire di fame, al timore di non avere più acqua per dissetarci, ma anche a dover misurare l’uso di prodotti comuni che solo qualche settimana fa davamo per scontati: dalla farina al latte, al lievito, persino al sapone per lavare le mani e allo shampoo per capelli. Sono improvvisamente cambiate tutte le nostre priorità. Stiamo conoscendo la privazione dopo decenni di liberismo sfrenato e di shopping compulsivo che hanno riempito le nostre case di oggetti inutili e inquinato le discariche del pianeta.

Stiamo sperimentando la preghiera

Non una supplica a questo dio o a quello, ma la consapevolezza che l’amore e la compassione possono fare miracoli, e un sorriso vale più di una stretta di mano. Stiamo ritrovando la fede nel domani e in quel ‘dopo’ che verrà. Se verrà. Stiamo riscoprendo l’azzurro del cielo, la bellezza di un albero in fiore a primavera, l’importanza di avere accanto i propri vecchi o l’amarezza di non poterli accarezzare, consolare, proteggere. Stiamo comprendendo che andare a lavorare è un privilegio e non una condanna, e che tornare a casa e trovare qualcuno ad aspettarci è decisamente una gran fortuna.

La quarantena che stiamo vivendo ci sta costringendo a guardarci di nuovo negli occhi, a cercare dentro di noi quelle risposte che fino ad oggi abbiamo affidato all’etere, alla community virtuale, al nulla del web. Genitori e figli sono tornati a mangiare insieme, a raccontarsi di sogni seppelliti dalle corse controtempo e dalle distrazioni melense, a guardare un film insieme. E se da una parte l’angoscia per le libertà negate ci sta rendendo diffidenti, razzisti e infami l’uno contro l’altro, dall’altra siamo tornati a tollerarci nonostante e comunque, perché non abbiamo un’uscita di sicurezza nella quale cercare scampo, un amante tra le cui braccia rifugiarsi o un’amica per dimenticare la noia familiare. Non abbiamo alternative.

Stiamo sperimentando la fantasia

La creatività, da anni sopita, è tornata in auge. Il desiderio di viaggiare attraverso un libro mai aperto e abbandonato tra i dispositivi elettronici, la voglia di raccontare sensazioni attraverso i colori di una tela mai dipinta, il piacere di farsi il pane da soli profumando la casa di un odore antico e rassicurante, la volontà di rileggere le grandi opere di Manzoni e Boccaccio e scoprirne interessanti similitudini.

Stiamo sperimentando, infine, che davanti alla desolazione diventiamo tutti uguali, che c’è una livella più in alto di noi che cancella differenze di razza, religione, ceto e classe sociale e che non fa sconti a nessuno. Che la speranza di sopravvivenza della nostra specie non va riposta nella costruzione delle grandi potenze della nostra epoca o circoscritta nei trattati internazionali che un qualsiasi virus riesce ad azzerare in poche settimane, ma rivista in un’autentica presa di coscienza individuale e in una considerevole assunzione di responsabilità civile e collettiva, nonché nell’impegno di ciascun umano all’unione globale e armoniosa di tutti gli esseri viventi su questa nostra caduca Terra.

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