“Qui possiamo ancora abbracciarci”: può accadere in Antartide, l’unico continente sfuggito alla pandemia di Covid-19. Affrontare l’inverno lì è dura, immersi nel buio in un’interminabile distesa di ghiaccio e con temperature che in questi giorni scendono fino a 80 gradi sotto zero, anche 90 con l’aiuto dei venti: “per questo quando siamo partiti le nostre famiglie erano preoccupate per noi, ma ora accade il contrario: ci dicono ‘per fortuna lì siete al sicuro’ e siamo noi a essere in pensiero per loro”, dice all’ANSA il fisico dell’atmosfera Alberto Salvati, responsabile della base italo-francese Concordia.
E’ uno dei quattro italiani che fanno parte dell’equipaggio della base, che si trova nel plateau antartico, gestita dal Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra), frutto della collaborazione di Enea e Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), e dall’Istituto polare francese ‘Paul Émile Victor’ (Ipev). Con Salvati lavorano nella base il medico Loredana Faraldi, il meccanico Andrea Ceinini e l’informatico Luca Ianniello. Per il resto l’equipaggio è composto da sette fra ricercatori e tecnici francesi e da una ricercatrice olandese dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).
“Qui possiamo ancora abbracciarci”, dice Loredana Faraldi, anestesista e rianimatrice dell’ospedale Niguarda di Milano. “Qui sono utile, ma lì potrei dare una grande mano”. I sentimenti provati da ogni membro dell’equipaggio sono contrastanti, mentre la pandemia colpisce i loro Paesi. “Non è facile descriverli: da un lato – dice Salvati – ci si sente previlegiati perché qui non è arrivato il virus, ma questo sentimento è sopraffatto dal dispiacere di non poter essere vicini ai nostri affetti. Sappiamo di essere lontani e di non poterli aiutare”.
Quando partiamo per l’Antartide “sappiamo che per nove mesi saremo isolati e che non potremo andare via in nessun caso, ma adesso – prosegue – i nostri amici dall’Italia ci dicono: voi almeno potete uscire”, anche uscire significa affrontare un pericolo costante. “Da qui aiutiamo parenti e amici a vivere isolati, molti ci dicono che preferirebbero stare qui. Prima del coronavirus questo luogo era percepito come pericoloso. Adesso – conclude Salvati – familiari e amici sono meno preoccupati per noi. Siamo noi preoccupati per loro.