RICHMOND (VA) – I pagamenti in favore di una pornostar e una coniglietta di Playboy, i documenti segreti della Casa Bianca nascosti nella residenza in Florida, i fondi gonfiati dalla Trump Organization e l’assalto a Capitol Hill del 2021. In questi giorni abbiamo ampiamente analizzato questi quattro processi e gli 88 capi d’accusa in cui è coinvolto l’ex presidente Donald Trump, candidato a Usa 2024 per una storica rivincita con il democratico Joe Biden.
Che il tycoon stia cercando di non arrivare ad una sentenza definitiva prima delle elezioni risulta ormai chiaro e oggettivo. Tuttavia ciò che preoccupa davvero è che la magistratura gli sta permettendo fino ad adesso di attuare con successo questa strategia. Ricorsi e appelli hanno inevitabilmente un costo per “The Donald”, che secondo la stampa statunitense si ritrova nel pieno di una crisi finanziaria (la cauzione di 450 milioni di dollari per aver gonfiato i fondi della sua organizzazione sta creando non pochi problemi agli affari del magnate).
Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è il tipico caso in cui gli interessi politici influenzano la magistratura. La stampa americana ha segnalato diversi comportamenti anomali nei confronti di Trump da parte di giudici di vario livello: dalla Corte Suprema, dove, su nove giudici, sei sono conservatori (tre di questi scelti da Trump quando era presidente) e tre progressisti.
A far discutere in modo particolare sono le scelte di Aileen Cannon, che presiede al processo in Florida sui documenti riservati portati via dalla Casa Bianca in modo illegale da Trump, che li ha custoditi nella sua residenza. Dopo un confronto diretto con alcuni esperti il Washington Post ha sottolineato che alcune scelte di Cannon sono state “singolari” dal punto di vista del diritto e così anche questo processo, il cui inizio era previsto il 20 maggio, risulta destinato a slittare ulteriormente.
Nel processo in Georgia non si capisce ancora oggi che tipo di rilevanza possa aver avuto la relazione intima tra la procuratrice della contea di Fulton Fani Willis e il suo collaboratore Nathan Wade nella raccolta delle prove ai danni dell’ex presidente. In questo caso il giudice ha deciso di portare avanti il processo, accogliendo però il ricorso dei legali di Trump, strettamente legato alla relazione sessuale tra la procuratrice e il suo collaboratore, che poco sembra avere a che fare con la possibile frode elettorale del magnate.
A Washington è ancora in discussione il ruolo dell’allora presidente nell’insurrezione del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill per rovesciare l’esito delle elezioni del 2020 e anche qui la Corte Suprema sembra non avere fretta: il 22 aprile, ascolterà le parti e forse prima dell’estate, darà il suo parere quando mancheranno più o meno 100 giorni al voto. Una tempistica decisamente breve per fare il processo e arrivare alla sentenza definitiva.
Infine c’è il processo di New York, legato al pagamento in nero con i soldi degli elettori per comprare il silenzio di due donne su storie del passato con il magnate durante la campagna elettorale 2016. Inizialmente la data del processo doveva essere il 25 marzo, ma è stata accolta una richiesta di rinvio di un mese per “esaminare nuove prove”.
L’unica certezza è che Trump in queste elezioni si stia giocando praticamente tutto. Se la magistratura non dovesse far registrare ulteriori comportamenti “anomali”, il rischio di avere almeno una condanna in uno di questi quattro processi c’è tutto. Nel caso di una sconfitta a Usa 2024, il tycoon rischia di trovarsi sommerso di debiti, costretto a fare i conti con la giustizia. Una possibile situazione in cui un ricorso non basterà a cambiare il destino.