Il sito Fivethirtyeight, considerato un punto di riferimento per i sondaggi politici negli Stati Uniti, ha calcolato la media dei sondaggi per la corsa alla Casa Bianca in vista dell’Election Day del prossimo 5 novembre. Il risultato ha visto l’ex presidente Donald Trump avanti di un punto rispetto al rivale democratico Joe Biden con il punteggio di 41,6 per il magnate e di 40,6 per l’attuale presidente.
Il candidato indipendente Robert F. Kennedy jr ha ottenuto il 9,8 per cento. Si tratta di numeri che meritano approfondimenti e considerazioni, ma che allo stesso tempo non rappresentano nulla di decisivo, anche perché negli Stati Uniti i rilevamenti a livello nazionale contano poco, poiché a decidere le elezioni non sarà il voto popolare, ma quello Stato per Stato dei 538 Grandi Elettori.
Per vincere serve dunque avere il voto di almeno 270 Grandi Elettori per ottenere la maggioranza assoluta ed è proprio per questo motivo che i cosiddetti “Swing States” (gli Stati in bilico) giocano spesso un ruolo decisivo. In questi territori (Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, North Carolina, Georgia, Nevada e Arizona) Trump si trova attualmente in vantaggio su Biden.
Tuttavia la campagna elettorale di Trump è influenzata dal processo in corso a New York, che di fatto lo ha costretto a modificare il suo calendario e quindi anche i comizi nei vari Stati previsti in questo periodo. Il magnate per legge deve comparire in aula per quattro volte a settimana nel processo in cui risulta accusato di aver comprato in nero con 130mila dollari il silenzio della pornostar Stormy Daniels su una loro presunta relazione avuta nel 2006.
L’obiettivo dell’accusa in questo frangente è quello di dimostrare l’esistenza di uno schema orchestrato dal tycoon per influenzare la campagna elettorale del 2016 che lo portò alla conquista della Casa Bianca. Si tratta di un processo che porta questa campagna elettorale in un terreno inesplorato nella storia degli Stati Uniti, ma se il magnate è alle prese con la giustizia, Biden deve fronteggiare le critiche legate alla sua età (81 anni) e il peso delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.
Sui conflitti il dissenso è diventato sempre più ampio in questi ultimi mesi, con una buona parte degli arabo-americani democratici che ha scelto di votare “uncommitted” durante le primarie e le recenti proteste pro Palestina in tutte le recenti Università d’America. Il recente finanziamento da 95 miliardi approvato da Camera e Senato Usa per fornire aiuti militari a Ucraina, Israele e Taiwan ha attirato ulteriori critiche nei confronti del presidente democratico.
La campagna elettorale procede dunque con i due candidati che oltre ad affrontarsi devono combattere anche con i loro rispettivi “scheletri nell’armadio”. Trump attende la sentenza della Corte Suprema sulla richiesta di immunità per i processi a suo carico riferiti a quando il magnate ricopriva la carica di Presidente.
Dalla Corte è molto probabile un “no” come risposta alla richiesta di immunità, ma la lunghezza dei tempi con cui i giudici si pronunceranno sul tema di fatto permette al magnate di guadagnare tempo in vista di novembre. La sentenza della Corte è prevista tra la fine di giugno e l’inizio di luglio ed è dunque chiaro che nessuno dei processi vedrà una sentenza finale prima dell’Election Day di novembre.
L’unica eccezione è data dal processo in corso a New York, che riguarda invece delle vicende in cui Trump non ricopriva ancora la carica di presidente. Proprio per questo il magnate non ha potuto fare richiesta di immunità alla Corte su questo caso.