“Il modo più facile di ottenere i quindici minuti di fama è di essere rude con qualcuno”. Ecco come Barack Obama ha reagito al grido di “tu menti” urlato da Joe Wilson, un parlamentare della Carolina del Sud, durante il suo recente discorso al Congresso.
L’ex presidente Jimmy Carter ha detto che gli attacchi velenosi all’attuale residente della Casa Bianca sono tinti di razzismo. Obama ha preso le distanze dicendo che le critiche sono dovute alla politica e non al fattore razziale.
Ambedue hanno parzialmente ragione poiché conoscono i problemi razziali sia dal punto di vista politico che personale. Carter era cresciuto durante il periodo delle leggi di discriminazione razziale di Jim Crow. Obama ha subito la discriminazione al livello personale. Nel suo memorabile discorso sulla questione della razza durante l’elezione dell’anno sorso, Obama ha parlato della sua amatissima nonna, una bianca, la quale aveva dimostrato dei comportamenti non privi di razzismo verso gli afroamericani.
La giornalista Maureen Dowd del New York Times ha centrato il bersaglio scrivendo che la frase urlata da Wilson (You lie) era incompleta dato che le mancava la parola “boy” (Tu menti, ragazzo). La frase completa era abbastanza tipica del sud degli Stati Uniti che i padroni usavano con i loro schiavi.
La Dowd ha in un certo senso ragione perché l’accusa non era di dire solo “una bugia” quando il presidente ha spiegato che i clandestini non riceverebbero sussidi governativi per l’assicurazione medica. L’uso del tempo presente suggerisce un’abitudine. Voleva indicare che il presidente è un bugiardo in tutte le situazioni. L’uso del verbo invece del nome è molto più forte e gli dà la qualità di una nerbata.
È possibile che l’autore non intendesse accusare il presidente di essere un mentitore abituale ma l’ascoltatore attento come la Dowd non può ignorare il messaggio ricevuto anche se non intenzionale.
Il figlio dell’urlatore ha, infatti, dichiarato che non c’è “neanche una goccia di razzismo” in suo padre. Avrà ragione.
Ciononostante il parlamentare in questione aveva fatto parte dei Sons of Confederate Veterans e si era battuto per mantenere la bandiera confederata sul Campidoglio della Carolina del Sud. L’urlatore aveva anche etichettato una calunnia il fatto che una donna afroamericana aveva rivelato di essere figlia di Strom Thurmond. Il senatore della Carolina del Sud, come si sa, aveva militato nel Ku Klax Klan, un’organizzazione di stampo spesso terroristico che sosteneva la superiorità della razza bianca.
Ma lasciando da parte il possibile razzismo del parlamentare urlatore rimane il fatto che almeno una piccola parte degli americani non può digerire l’idea di un afroamericano come presidente.
Data la storia politica del Paese, il Partito Repubblicano ha risentito l’accusa. In una riunione di possibili candidati del GOP per l’elezione del 2012, Gary Bauer, uno degli aspiranti alla nomina, ha dichiarato che i repubblicani devono rifiutare “vigorosamente l’accusa” di razzismo. Ha ragione. In parte ciò è questione di giustizia ma allo stesso tempo si traduce in buona strategia politica.
Il GOP non ha avuto molto successo ad attrarre elettori afroamericani non importa se il candidato è di pelle bianca o nera. La stragrande maggioranza degli afroamericani vota sempre per il Partito Democratico.
Ma a volte i repubblicani calpestano i propri piedi come hanno fatto nel recente voto di censura all’urlatore nella Camera. Nonostante le scuse chieste da Wilson, accettate dalla Casa Bianca, la Camera dominata dai democratici, ha deciso di censurare il maleducato membro. La maggior parte dei parlamentari repubblicani ha votato contro la censura. Il voto non aveva niente a che fare con la questione di razzismo. Mirava solo a ricordare ai parlamentari che quando il presidente visita la Camera gli si deve il dovuto rispetto, anche se sostiene delle cose non condivise da tutti.
In tutta questa situazione Obama ne è uscito alla meglio perché ha continuato a concentrarsi sulle questioni importanti. Per lui la rabbia dell’urlatore Wilson riflette in grande misura l’insicurezza dei tempi e i dubbi che la gente ha sul ruolo del governo. Dopo i soldi spesi per il salvataggio di Wall Street e gli altri fondi per pagare lo stimolo dell’economia, molti vedono un governo troppo attivo con l’etichetta di socialismo che diviene una realtà.
L’elezione di Obama a presidente dimostra che il Paese ha certamente maturato nella questione dei rapporti fra le razze. Se l’economia si riprenderà nel vicino futuro e una buona legge sulla sanità verrà approvata, Obama potrà cantare vittoria. Non farebbe piacere a tutti ma toglierebbe la maggior parte delle scuse per gli attacchi dell’opposizione.
Domenico Maceri