Neuropatie disimmuni: Italia al top per diagnosi

Restano difformità di cura tra le regioni

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Londra – Buone notizie sul fronte delle neuropatie disimmuni, un gruppo di malattie neurologiche rare che coinvolgono il sistema nervoso periferico con conseguenze talvolta gravi. Oggi, l’86% dei pazienti risponde bene alle terapie e il tempo della diagnosi, rispetto a dieci anni fa si è ridotto, da diversi anni a pochi mesi.

Inoltre, il modello italiano spicca per efficienza in Europa.

Sono queste alcune novità emerse nel corso del convegno “Neuropatie disimmuni acquisite: un esempio di buona sanità nelle malattie rare”, che si è svolto oggi a Roma al Senato, alla presenza di numerosi stakeholder e Istituzioni.

Indubbi passi in avanti che hanno migliorato la vita di chi vive con le neuropatie disimmuni, resi possibili grazie anche all’impegno di associazioni come CIDP Italia Onlus, attiva dal 2012 in Italia e che ha presentato oggi al Senato la campagna di sensibilizzazione #lenostrestorie.

“L’ ambito delle neuropatie disimmuni acquisite è uno spazio di buona sanità, che ha visto enormi passi in avanti. – afferma Massimo Marra, Presidente dell’associazione CIDP Italia Onlus. Dieci anni fa – prosegue Marra – il tempo medio per la diagnosi delle neuropatie disimmuni era di circa un anno, oggi è sceso a qualche mese. Questo è un risultato importantissimo che dà il giusto riconoscimento alla scuola italiana del nervo periferico e al suo e nostro lavoro incessante e continuo di informazione, formazione e sensibilizzazione.”

Le neuropatie disimmuni sono un gruppo di malattie neurologiche che comprendono la polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (CIDP), neuropatia motoria multifocale (MMN), la sindrome di Guillain-Barré (GBS) e la sindrome di Lewis-Sumner.

“Le neuropatie disimmuni sono malattie rare e invalidanti, che possono influire sulla capacità di camminare o di afferrare gli oggetti e provocano perdita di sensibilità, formicolio o dolore a mani e piedi. – spiega il prof. Eduardo Nobile-Orazio, Professore Associato di Neurologia presso l’Università di Milano e Responsabile del Servizio di Malattie Neuromuscolari e Neuroimmunologia dell’IRCCS Humanitas. – Possono essere progressive oppure avere dei periodi di recupero e delle ricadute, o ancora diventare croniche: ma in genere si tratta di situazioni che si risolvono, perché le terapie, che pure non guariscono la malattia, ne migliorano sensibilmente i sintomi”.

È stato proprio il prof. Eduardo Nobile-Orazio a dare la buona notizia ai pazienti che questa mattina, a Roma, hanno partecipato al convegno “l’86% dei pazienti affetti da neuropatie disimmuni risponde bene alle terapie”. La percentuale è riferita ai più di 500 pazienti inclusi nel registro nazionale di ricerca su queste patologie, coordinato da lui stesso. Il dato è ancora più importante perché proviene da un contesto real world: il registro, nato nel 2013 grazie a un finanziamento della Regione Lombardia, riunisce 22 Centri italiani. Un database che archivia tuttora i dati clinici dei pazienti, gli esami effettuati e il follow up, estremamente utile per valutare l’efficacia dei vari test diagnostici e la risposta alle terapie più usate, e in generale per caratterizzare meglio queste patologie.

Altra buona notizia, come sostiene Marra “è che gli italiani sono i migliori in Europa nella diagnosi delle neuropatie disimmuni.” A riprova di questo, di 60 Centri che compongono la Rete di Riferimento Europea per le malattie neuromuscolari ERN EURO-NMD, ben 14, quindi il 23%, sono italiani.

Tuttavia, nonostante i numerosi progressi nel campo delle neuropatie disimmuni evidenziati finora, restano non poche difficoltà per i pazienti, evidenziate nel corso dell’incontro, soprattutto per quanto riguarda la gestione della malattia relativa alla somministrazione delle terapie. Tra queste, il diritto alla cura nell’ospedale più vicino alla propria residenza e la possibilità di accesso in maniera uniforme in tutte le regioni.

“I pazienti affetti da neuropatie disimmuni hanno necessità di fare delle infusioni ogni mese, per tutta la vita, e queste possono durare anche 5-7 ore al giorno, per 3 o 5 giorni di seguito”, sottolinea Marra. “La maggioranza di loro fa queste infusioni in regime ambulatoriale, con diversi conseguenti disagi: perciò abbiamo chiesto al Ministro della Salute se questo fosse il regime appropriato. La risposta è arrivata con i nuovi LEA, che considerano appropriati i day hospital terapeutici per le infusioni di durata superiore a un’ora. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle Regioni non si è ancora adeguata”, conclude Marra.

La norma prevista dal Piano Nazionale Malattie Rare, ha recentemente stabilito che la terapia infusionale debba svolgersi nell’ospedale più vicino alla residenza del paziente. “Peccato che, in alcune Regioni, – sottolinea Marra – si continui a fare la terapia esclusivamente nei Centri di riferimento della malattia, con molti disagi per i pazienti che vivono in zone periferiche e lontane dalle grandi città.”

Un’altra esigenza dei pazienti è quella di un supporto psicologico e nutrizionale, che sta assumendo sempre più importanza nelle malattie neuromuscolari: l’associazione ha chiesto che sia considerato di base in tutta Italia, e come tale sia inserito nei piani terapeutici.

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