Londra – Disturbi motori accompagnati da deficit dell’attenzione e della memoria. Sono i sintomi più comuni del 40-60% dei pazienti affetti da sclerosi multipla (sm), una patologia infiammatorio-degenerativa del sistema nervoso centrale a decorso cronico che colpisce circa 3 milioni di giovani adulti nel mondo, di cui 58.500 solo in Italia, ovvero 1 ogni 1026 abitanti. Per ritardare questo declino, i ricercatori del laboratorio di Neuroimmagini dell’Istituto di scienze neurologiche del Consiglio nazionale delle ricerche (Isn-Cnr) di Catanzaro hanno sviluppato un nuovo metodo di riabilitazione computerizzata in grado di migliorare i deficit dell’attenzione. Lo studio è stato pubblicato su Neurorehabilitation and neural repair.
“Uno degli obiettivi principali nella gestione clinica dei pazienti con sm è il ritardo clinico cognitivo”, afferma Antonio Cerasa, ricercatore dell’Isn-Cnr di Catanzaro. “Per ottenerlo esistono due vie: la riabilitazione cognitiva e il trattamento farmacologico a cui però spesso i pazienti non possono essere sottoposti in quanto sufficiente solo a ridurre l’infiammazione a livello cerebrale”.
Il nuovo protocollo di riabilitazione stabilito con la ricerca “intende recuperare le funzioni neuropsicologiche alterate dalla patologia cerebrale e quindi a migliorare l’attenzione”, spiega Cerasa, “una specifica funzione cognitiva che regola l’attività dei processi mentali, filtrando e organizzando le informazioni provenienti dall’ambiente allo scopo di emettere una risposta adeguata”. La letteratura scientifica ha evidenziato come il cervello umano, grazie alla sua innata plasticità, sia in grado di modificare la propria microstruttura e funzionalità, qualora venga sottoposto a un nuovo apprendimento.
“Grazie alla risonanza magnetica funzionale, che permette di ‘fotografare’ l’attività del cervello in tempo reale”, prosegue il ricercatore. “Abbiamo messo a confronto un gruppo sperimentale di pazienti sottoposti a riabilitazione cognitiva con un gruppo di controllo sottoposto al trattamento placebo. Dopo due mesi il gruppo sperimentale mostrava un miglioramento nelle funzioni attentive e, in risonanza magnetica, un aumento di attività cerebrale in specifiche regioni. La speranza è che i risultati di questa ricerca possano rivoluzionare i paradigmi classici di riabilitazione presso i centri sanitari pubblici, conclude il ricercatore”.