Disturbi dell’alimentazione, la diagnosi da una ‘immagine’

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schema del funzionamento di un classificatore matematico basato su dati di neuroimaging strutturale. Il sistema si basa su un algoritmo capace di definire l’iperpiano che massimizza la differenza tra due gruppi di soggetti. In altre parole, l’algoritmo impara automaticamente a riconoscere l’insieme di informazioni anatomiche che permette di definire se un particolare cervello appartiene a pazienti con bulimia o anoressia
schema del funzionamento di un classificatore matematico basato su dati di neuroimaging strutturale. Il sistema si basa su un algoritmo capace di definire l’iperpiano che massimizza la differenza tra due gruppi di soggetti. In altre parole, l’algoritmo impara automaticamente a riconoscere l’insieme di informazioni anatomiche che permette di definire se un particolare cervello appartiene a pazienti con bulimia o anoressia
Gli ultimi studi in ambito di neuroimaging hanno sottolineato che i disturbi comportamentali dell’alimentazione (Dca), come l’anoressia e la bulimia, non sono soltanto disturbi psicologici ma sono caratterizzati anche da piccoli danni neuronali a livello cerebrale osservabili dalle risonanze magnetiche dei pazienti. Per questo motivo l’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Catanzaro e Milano (Ibfm-Cnr) in collaborazione con l’Associazione ‘Ippocampo’ di Cosenza, ha sviluppato un algoritmo intelligente in grado di distinguere tra individui sani e malati partendo dalle immagini anatomiche dei loro cervelli. La ricerca è stata pubblicata su Behavioural Neurology.

“Negli ultimi 5 anni, attraverso il neuroimaging, abbiamo potuto individuare le aree del cervello maggiormente interessate da danni legati ai Dca come la corteccia visiva o il sistema limbico”, spiega Antonio Cerasa dell’Ibfm-Cnr di Catanzaro. “Purtroppo però non è stato ancora possibile sfruttare queste anomalie come biomarcatori per migliorare diagnosi e prognosi. Infatti questi elementi risultano evidenti solo ad uno stadio avanzato della malattia, oltre ad essere soggetti a una grande variabilità individuale tanto che, in alcuni casi, possono anche non presentarsi affatto. D’altra parte non è raro che un paziente si muova tra anoressia e bulimia con il passare del tempo. Tutto ciò limita molto la possibilità di utilizzare queste informazioni neurobiologiche in ambito clinico”.

Accoppiando al più classico neuroimaging anche le potenzialità dell’intelligenza artificiale, il gruppo di ricerca è riuscito a implementare una metodologia in grado di stabilire precocemente se il soggetto è affetto da disturbi dell’alimentazione. Isabella Castiglioni, fisico dell’Ibfm-Cnr di Milano, spiega: “Abbiamo sviluppato un nuovo sistema di diagnosi automatizzata utilizzando un algoritmo di classificazione che riesce a riconoscere, in modo automatico, se il cervello di un individuo appartiene a un soggetto malato o sano, sfruttando i dati di morfologia cerebrale ricavati da una risonanza magnetica del paziente. Lo scopo di questo algoritmo è di massimizzare il contrasto tra gruppi di immagini per individuare quali caratteristiche permettono di distinguere le categorie di soggetti nel modo più evidente possibile”.

Per verificare i risultati di questo strumento sono state selezionate 17 donne tra i 18 e i 40 anni, affette da una forma moderata di Dca e una controparte di altrettante donne sane. “Nella scelta delle volontarie, abbiamo selezionato soggetti che avessero in comune con le pazienti alcuni fattori potenzialmente fondamentali, che possono incidere sulla morfologia cerebrale, come il livello di istruzione, l’età e l’indice di massa corporea”, conclude Cerasa. “Lo studio ha mostrato come nell’80% dei casi l’algoritmo distingue correttamente i soggetti malati da quelli sani. Siamo ancora in una fase sperimentale e per poter applicare questa metodologia in ambito clinico è necessario testarlo su un campione più vasto, rappresentativo di tutte le classi diagnostiche della Dca. D’altra parte, il sistema ha le potenzialità per essere in grado di riconoscere un paziente anoressico da un bulimico, anche nelle fasi precoci della malattia, fornendo ai clinici quei biomarcatori fondamentali per capirne lo sviluppo”.

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