Londra – Se le profondità degli oceani continuano ad essere popolate da pesci e altre creature marine, il merito è anche dei virus che, infettando il plancton, rimettono in circolo nutrienti essenziali per la catena alimentare dell’ecosistema.
A sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances realizzato da un team di ricerca italo-spagnolo che coinvolge l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) e l’omologo spagnolo Institut de Ciències del Mar del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (Icm-Csic).
“La ricerca è basata sull’analisi di oltre mille campioni di acqua raccolti, dalla superficie fino alla profondità di 4.000 metri, lungo gli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano nel corso di una spedizione scientifica condotta nel 2010 e finanziata dal Csic chiamata ‘Malaspina Expedition’ e che ricalca l’omonima spedizione di circumnavigazione del globo condotta da Alessandro Malaspina alla fine del 1700”, spiega Gian Marco Luna, ricercatore Ismar-Cnr di Ancona e coautore dello studio. “Abbiamo dimostrato che i virus degli ambienti profondi, di cui finora si conosceva poco, sono in grado di predare il plancton microbico molto più attivamente di quanto ritenuto. Si stima che nell’oceano globale questi virus infettino ogni secondo centinaia di triliardi di microrganismi del plancton (un triliardo corrisponde a mille miliardi di miliardi). I virus distruggono le cellule infettate che così rimettono in circolo nell’acqua circostante il loro prezioso contenuto, fatto di biomolecole di elevata qualità nutrizionale. Un’importante frazione di tale materia organica diventa nutrimento per altri microrganismi, secondo l’effetto conosciuto come ‘viral priming’, nutrendo l’intera rete alimentare fino ai pesci”.
I ricercatori hanno inoltre dimostrato che l’infezione virale, in particolare nell’oceano profondo, è responsabile della rigenerazione di una enorme quantità di carbonio organico disciolto. “Utilizzando la citometria a flusso, una tecnica laser impiegata in biologia che permette il rilevamento e il conteggio delle cellule e dei virus in campioni d’acqua oceanica, abbiamo mostrato che l’infezione virale è responsabile del rilascio annuo di 140 gigatonnellate di carbonio (una gigatonnellata corrisponde a un miliardo di tonnellate), contribuendo così al ciclo globale del carbonio oceanico”, prosegue il primo autore del lavoro Elena Lara, ricercatrice spagnola attualmente in forza all’Ismar-Cnr di Venezia ed associata al Icm-Csic di Barcellona. “I virus rompendo le cellule dei microbi vivi producono quindi carbonio organico fresco, fatto di biomolecole più digeribili e potenzialmente più utilizzabili lungo la rete trofica rispetto all’ampia fetta di carbonio organico disciolto”.
Una delle domande aperte dello studio riguarda proprio il ruolo di questo carbonio disciolto e rimesso in circolo dall’infezione virale. “Allo stato attuale non è possibile stabilire se, una volta respirato dal plancton e trasformato in anidride carbonica, abbia conseguenze sulla capacità degli oceani di assorbire questo gas”, conclude Luna. “Questi nuovi risultati ci aiuteranno a migliorare le stime sul ciclo globale del carbonio sulla Terra, elementi utili per la comprensione dei cambiamenti climatici”.