Fotorivelatori innovativi grazie a silicio e grafene

0
729

Londra – I fotorivelatori sono dispositivi in grado di convertire luce in corrente. Alle lunghezze d’onda del vicino infrarosso tale conversione viene in genere realizzata con materiali quali l’Arseniuro di Gallio e Indio, particolarmente costoso da lavorare, oppure il Germanio, difficilmente integrabile con una circuiteria microelettronica preesistente.

Il più economico silicio, invece, sebbene sia ampiamento utilizzato per la conversione di luce a lunghezze d’onda del visibile (380-750nm), non può essere utilizzato nel vicino infrarosso (750-2500nm) a causa di alcuni limiti intrinseci del materiale. Un recente studio condotto da un team di ricercatori dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi dell’unità di Napoli del Consiglio nazionale delle ricerche (Imm-Cnr), in collaborazione con il Graphene Centre dell’Università di Cambridge, ha trovato il modo di convertire la luce infrarossa in corrente, integrando il silicio – materiale ormai maturo come tecnologia di fabbricazione di dispositivi grazie agli investimenti messi in campo dalla microelettronica – con un materiale emergente come il grafene, consentendo così di avvicinare l’ipotesi di fabbricare fotorivelatori in silicio funzionanti nel vicino infrarosso. La ricerca è pubblicata sulla rivista ACSNano.

“I componenti a stato solido in silicio sono affidabili e garantiscono elevate prestazioni. Il grafene è caratterizzato da estrema resistenza (200 volte quella dell’acciaio), leggerezza (si può ricoprire un campo di calcio con sei grammi di grafene), conduzione di calore (superiore a quella del rame), elettrica e flessibilità”, spiega Maurizio Casalino ricercatore dell’Imm-Cnr e coordinatore dello studio. “Noi abbiamo scoperto che realizzando strutture ibride, è possibile combinare le proprietà di assorbimento ottico del grafene con la capacità di fabbricazione propria della tecnologia in silicio, realizzando strutture ottiche complesse in grado di intrappolare la luce infrarossa e incrementando così l’efficienza di conversione”.

I risultati dei ricercatori napoletani puntano alla realizzazione di una nuova famiglia di dispositivi optoelettronici con applicazioni rivoluzionarie: “Una nuova famiglia di supercomputer fotonici, in grado di funzionare non con la corrente ma, per esempio, con la luce proveniente dalle fibre ottiche delle reti FTTH (Fiber To The Home). La scoperta, inoltre, trova potenziale impiego anche nel campo delle telecomunicazioni, della sicurezza e biomedicale”, conclude Casalino.r

Articolo precedenteMilena Gabanelli torna al ‘Corriere della Sera’
Prossimo articoloA che posto siamo nella classifica mondiale della pressione fiscale?

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here