Sessantasei giornalisti uccisi nel 2008, cinquecento morti negli ultimi cinque anni, duecentosessantaquattro soppressi solo in Iraq dall’inizio della guerra ad oggi. Ma le cifre non finiscono qua: duecentocinque sono i giornalisti e i “bloggers” attualmente in prigione, ben quattordici i reporter sotto sequestro. Nel rapporto del 2007 le cifre sulla libertà di stampa nel mondo parlano il linguaggio limpido dei numeri e parlano chiaro. E coinvolgono anche il web che è diventato, soprattutto in alcuni paesi, l’ultima barricata per esprimersi. Lo sa bene chi ascolta i notiziari.
Lo sa ancora meglio chi i notiziari li fa come Pino Scaccia, reporter di razza e volto noto del Tg Uno. Inviato nelle zone di guerra come pochi, il giornalista italiano da tempo utilizza internet per comunicare. Forse è tra i pochi che ne fanno un uso “smodato”: spesso i giornalisti nutrono per il web una diffidenza che sconfina con la critica. Pino Scaccia ha costruito vari blog nei quali, in un ordine senza eccessi, ha lasciato tracce consistenti del suo lavoro che dalle immagini spazia ai commenti che mettono in rapporto , spesso, le famiglie rimaste in Italia e i militari in missione.
Per seguire la pista basta andare a “La Torre di Babele” (http://latorredibabele.blog.rai.it/) oppure ascoltare, se si è fortunati come chi scrive, una sua intervista mandata in onda su Radio 3 il 25 dicembre scorso. “Arrivare, farsi accettare, adeguarsi, solo poi accumulare il materiale necessario al racconto. Le fluidità di lavoro e invece gli intoppi, esterni e interni, che costellano la vita di una celebre giornalista di guerra.”
In sintesi il suo mestiere che di artigiano ha tutto. Ascoltare Pino Scaccia è addirittura più interessante che assistere ad un suo servizio. Nell’intervista, l’inviato speciale racconta “tranche de vie”, un lavoro al quale non mancano né le soddisfazioni né le difficoltà anche quelli delle manipolazioni della informazione.
Primo giornalista occidentale a raccontare Chernobyl a 4 anni dal disastro ( tramite un lavoro a Kiev), Scaccia sente la necessità di incontrare l’evento. La zona per lui è un pianeta morto, metafora della Morte della stessa Terra.
L’inviato speciale racconta di quel viaggio in una Patagonia mitica, delle dieci ore di polvere per raccontare lo “scoop” sulla morte del Che Guevara in una intervista a chi ha pulito il suo corpo ormai inerte. E si rivela l’umanità intatta di colui che, pur frequentano i luoghi della guerra con la scia di sangue e di lacrime che ne consegue, non se ne è fatto sopraffare, ma ce li restituisce intatti. Cronaca epifanica di chi si ritrova in luoghi storicamente drammatici e vive la difficoltà di portare da laggiù fino a noi quelle realtà, qua in Occidente. Nella intervista a Radio 3 Pino Scaccia trova anche il tempo per ripercorrere a ritroso la strada che lo ha condotto ad essere il giornalista Rai più presente sul web e forse il più amato. Racconta degli inizi dell’avventura, quando, relegato nella Valle del Don e nei suoi silenzi, cominciò a spratichirsi con un Pc ed un collegamento.
Quanta strada da allora! E quanti amici che lo hanno seguito con la pazienza del fan. Pino Scaccia e il concetto di “normalità” , il trauma di colui che arriva in Afghanistan, per esempio, ed ha bisogno di un paio di giorni… e poi diventa afghano. In tutto questo non manca l’attenzione verso i bambini, un capitolo accorato della sua storia professionale e della intervista radiofonica dove l’inviato speciale racconta dei loro sguardi e di contatti che, per gli inviati, diventano una sorta di adozione.
E’ avvenuta per Shatja , storpia e afghana, che Pino Scaccia percepisce come una figlia. Un mestiere vissuto “tout court” con l’intensità di una vocazione, restituito nella sua umanità via Tg, via world wide web o tramite il sistema del Podcasting. E ascoltandolo sembra davvero che il mondo sia ad un passo e che appartengano a tutti noi i drammi della Terra Santa o dell’ Iraq, che dir si voglia. Misteri dell’ uomo e del web.
Mariantonietta Sorrentino