Una violinista tedesca innamorata di Suvereto

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Suvereto – Dalla Germania alla Toscana. Il suo è stato un viaggio di sola andata, che si è fermato a Suvereto. Come mai?
«Appena arrivata in Italia mi sono stabilita a Campiglia, dove ho vissuto qualche anno con un compagno. Poi, una volta rimasta sola, mi sono messa alla ricerca di una casa e ho trovato a Suvereto ciò che desideravo: un punto fermo dove rilassarmi, in mezzo alla gente ma nello stesso tempo tranquillo».
Come l’hanno accolta i suveretani?
«Benissimo. In paese mi sento come a casa, contornata da affetto e attenzioni, anche se all’inizio queste attenzioni hanno creato qualche inconveniente, come quando non notando la mia presenza per un po’ di giorni (io vado spesso in giro per concerti), qualcuno ha pensato di forzare le finestre per entrare in casa e assicurarsi che non fossi morta».
Quando è arrivata nel nostro Paese conosceva già la lingua italiana?
«No. L’ho imparata sul campo, obbligatoriamente, per poter lavorare. Mi ha fatto da insegnante la mia vicina di casa e ora parlo sempre italiano, anche se quando vengono i miei parenti o i miei amici a trovarmi ridivento tedesca».
Veniamo alla musica e al violino. Da quando questo strumento fa parte della sua vita?
«Da quando ero piccola. Ricordo che cantavo nel coro delle voci bianche e che i miei genitori (mamma suonava il pianoforte per hobby e babbo l’organetto) vedendo la mia predisposizione per la musica un giorno mi chiesero quale strumento avrei voluto imparare. Scelsi il salterio, antenato del cembalo, molto usato in Baviera dove sono nata, che iniziai a studiare con passione, portandolo poi fino all’università per il corso di musica antica. E dopo poco passai anche al violino».
Oggi ai suoi tanti impegni ha aggiunto quello di direttrice del gruppo Haendel e della Corale Mascagni di Piombino, in sostituzione del maestro Gambardella. Qual è l’insegnamento che lui le ha lasciato?
«Il grande affetto che distribuiva a tutti e la passione immensa per la musica».
Per insegnare bene la musica bisogna essere per forza musicisti?
«Sarebbe meglio, anche se non è detto che un bravo musicista possa diventare un buon maestro».
I suoi allievi sono molto giovani, anzi giovanissimi. Che cosa prova quando riesce a farli appassionare alla musica?
«Sono felice. Io insegno alle materne, alle elementari e alle medie e so che ogni età ha bisogno di un approccio diverso. Insegnare a un bambino piccolo, per esempio, è molto più impegnativo, perché bisogna coinvolgerlo emotivamente, come in un gioco. E la cosa non è sempre facile: alla materna si ascolta la musica ma si canta e si balla anche, alle elementari si suona il flauto e, alle medie, qualche volta si usa anche il violino…».
Quando insegna è più tedesca o più italiana?
«Più tedesca».
I suoi alunni la temono?
«Non credo. L’anno scorso quelli delle quinte, prima di lasciare definitivamente la scuola, mi hanno scritto un biglietto di saluto, spiegandomi che, pur essendo stata molto severa con loro ero riuscita a inculcargli la passione per la musica… Quel biglietto io lo tengo fra le cose più care!».
Lei che proviene da un Paese dove la musica e l’arte in generale sono tenute in grande considerazione, come è riuscita ad adattarsi in Italia, dove invece queste discipline vengono considerate un optional, se non addirittura una perdita di tempo?
«A volte ho molta difficoltà, anche se sono stata fortunata, perché ho trovato le persone giuste, che hanno capito i miei metodi e mi hanno appoggiato. Certo la fatica c’è, ma i risultati me la fanno scordare».
Uto Ughi, uno dei più famosi violinisti del panorama musicale classico in un’intervista recente ha detto: «Il violino è lo strumento con cui meglio si esprime il pensiero, perché ha un’anima». La pensa anche lei così?
«Tutti gli strumenti hanno un’anima, il violino però è particolarmente legato al cuore, perché il suo arco viene tenuto proprio vicino al cuore. Ed è anche legato al canto: quando il violino suona le corde vocali cantano».
Quali le sono le doti di un bravo violinista?
«Bisogna avere fermezza e dolcezza, due doti difficili da unire, ma essenziali».
Cosa si prova a passare dall’esecuzione dello strumento alla direzione?
«Nel mio caso sento molta più responsabilità: quando suono, anche se mi devo inserire nel gruppo, sono più autonoma, mentre come direttore devo coinvolgermi di più emotivamente».
Quali sono i suoi autori preferiti?
«Vado a periodi. Ci sono generi di musica che prima non mi piacevano e che invece ora amo, come quella antica e la musica operistica, che ho iniziato a conoscere e ad apprezzare lavorando al teatro Regio di Torino, dove vado spesso a tenere concerti».
Cosa ne pensa della musica moderna?
«Se è suonata bene mi piace».
Molti musicisti classici però la considerano un sottoprodotto.
«C’è musica buona e non buona e questo vale anche per la classica».
Quando non suona cosa fa?
«Cerco di vivere il più possibile nella natura con lunghe passeggiate in campagna».
Cosa le piace della zona dove abita?
«La vita “a passo d’uomo” che ci si può permettere di fare e la bellezza dell’ambiente: la mia casa è in centro, ma mi basta camminare cinque minuti per immergermi nel verde e nel silenzio. E poi amo molto le persone. Gente che ha ancora l’idea della solidarietà».
C’è qualcosa invece che non sopporta?
«Il fatto di non riuscire a stare nella mia casa il tempo che vorrei, per i continui impegni che me ne allontanano».
Come giudica Grosseto, una città dove va spesso in veste di insegnante, ma anche di concertista?
«Non posso giudicarla perché devo ancora scoprirla. Quando ci sono mi devo dividere fra la scuola Sant’Anna, dove insegno tedesco e musica e l’Accademia Viotti, per i corsi di violino e musica da camera. Così non mi rimane mai il tempo per approfondire la mia conoscenza, sia con la città che con la sua popolazione».
La cucina toscana le piace?
«Molto».
Mangia più cibi tedeschi o italiani?
«Un po’ di tutto, ma cucino solo se ho molto tempo, perché non amo farlo in fretta».
Non ha proprio voglia di tornare a vivere in Germania?
«Ci vado una o due volte all’anno, ma sto bene in Italia».
La sua famiglia ha approvato il trasferimento?
«Lo ha accettato, anche se non ha mai capito il perché della mia decisione».
Cosa le manca della sua terra?
«I parenti, mio padre, che dopo la morte della mamma è solo, gli zii, i cugini, gli amici. E poi l’inverno, la neve, il bianco in cui sono nata e cresciuta».
E il mare le piace?
«L’ho sempre amato. Da piccolina volevo diventare marinaio e la mia favola preferita era quella di Sinbad».
Per quanto riguarda invece il suo amore per la musica non ha mai avuto dei ripensamenti?
«Sì. Dopo un periodo in cui suonavo tanto, una quindicina di anni fa ho riposto il violino nella custodia. Volevo fare cose diverse e sono partita per l’India, dove ho lavorato come infermiera, mettendo a frutto la mia esperienza già fatta a Monaco, con un corso di terapie per disabili. E, una volta tornata dall’India, ho ricominciato a suonare, pur non tralasciando il resto».
Oggi lei si occupa anche di musicoterapia, materia che ha studiato a lungo. E’ importante la musica per chi ha un handicap?
«Importantissima. Può aiutare molto in tanti campi. Lavorare con i disabili però è un’esperienza che aiuta soprattutto chi la fa, perché quello che si riceve da loro è molto di più di ciò che si offre. La loro dolcezza, la loro sincerità, la loro passione nel fare le cose anche quando hanno più difficoltà degli altri e la gioia che provano di fronte a un piccolo successo, sono una ricchezza di cui oggi non potrei più fare a meno».

M. Antonietta Schiavina, da “Il Tirreno”, 29 marzo 2009

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