Di che colore è il governo Conte

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Il governo Conte – e l’alleanza giallo-verde su cui si regge – è stato presentato dai diretti interessati come il “governo del cambiamento”. Il sostantivo “cambiamento” inevitabilmente si riferisce a un confronto con il passato più o meno recente. Ma è davvero così? Quali sono le reali novità del governo Conte rispetto ai settanta esecutivi che lo hanno preceduto, dal 1946 fino a Paolo Gentiloni? Per cercare di capirlo, abbiamo ancora una volta fatto riferimento al metodo proposto dall’Italian Legislative Speech Dataset – Ilsd, già utilizzato in un precedente articolo, per collocare nello stesso spazio politico la posizione del contratto espressione del governo Conte con quelle più recenti dei partiti che siedono in Parlamento. Questa volta, il nostro interesse è di adottare una prospettiva diacronica, in grado di confrontare la posizione del contratto di governo giallo-verde con quelle di tutti gli altri esecutivi della Repubblica italiana come emersi dai loro rispettivi discorsi di insediamento. Quali sono i principali risultati?
Se consideriamo il lato delle policy, in una prospettiva di lungo periodo il contratto di governo giallo-verde risalta più per la sua posizione economica, piuttosto che sociale. Dei settanta governi succedutosi in Italia dal 1946 a oggi, infatti, la posizione economica espressa dal contratto di governo giallo-verde, lungo una scala che contrappone chi vuole più stato (a sinistra lungo la dimensione orizzontale) o più mercato (a destra), è la quarta più pro-stato di tutte, superata solo dal terzo governo Fanfani nel luglio 1960, che aprì la strada al centro-sinistra in Italia, e da due più recenti governi di centro-sinistra: il primo di Massimo D’Alema nel 1998 e il secondo di Romano Prodi nel 2006.
Riguardo invece la posizione lungo la dimensione sociale – che contrappone una posizione più progressista (valori in basso lungo la dimensione verticale) su questioni come i diritti civili (tema migranti incluso) a una più conservatrice (in alto) focalizzata su “legge e ordine” – il governo Conte si situa nel “centro classifica”, con diversi governi che hanno espresso una posizione più conservatrice rispetto a quella che emerge dal contratto giallo-verde, a partire dal governo Scelba nel febbraio 1954 o dal governo Segni nel 1959.
L’eccezionalità del contratto alla base del governo Conte emerge invece da altri tre aspetti.
Il primo riguarda la posizione nei confronti dell’Europa. Tra tutti i governi italiani dal dopoguerra a oggi, la posizione espressa dal governo Conte è infatti la più tiepida, assai lontano da esecutivi molto pro-Europa (almeno nelle loro iniziali dichiarazioni) come i due governi Letta o il governo Dini.
Gli altri due aspetti di novità del governo Conte non riguardano infine le politiche, bensì quello che in letteratura va sotto il nome di valence issues, cioè valori condivisi. Da un lato c’è infatti una grande enfasi sul tema della corruzione politica: dopo quello di Carlo Azeglio Ciampi, si era in piena bufera di Tangentopoli, è quello che ne parla di più, assieme al primo governo Spadolini. Dall’altro, la sostanziale assenza del tema della competenza: un cavallo di battaglia per gran parte dei governi, che generalmente spendono fiumi di parole per sottolineare la loro (supposta) capacità di (ben) governare, sembrerebbe non essere centrale per il contratto su cui si fonda il governo Conte. Andrea Ceron e Luigi Curini (da LaVoce.it)

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