Difeso ad oltranza dalle forze politiche più di sinistra, emblema delle lotte dei lavoratori degli anni Settanta, accusato di aver ostacolato nel tempo l’accesso al mondo del lavoro per la sua eccessiva rigidità, stravolto dal Jobs Act del governo Renzi, poi smussato dall’esecutivo giallo-verde a inizio legislatura lo Statuto dei Lavoratori compie 50 anni. Mezzo secolo di storia del lavoro di questo paese tra indubbie conquiste e polemiche sull’adeguatezza o meno ai ritmi veloci del cambiamento. E’ stato istituito quando il lavoro da tutelare era in fabbrica e non si poteva certo immaginare l’arrivo dei co.co.co, dei riders e dopo l’arrivo del Covid-19 dello smart working di massa.
Aspettative sindacali, divieto di riprese senza il consenso dei lavoratori e di accertamenti sanitari direttamente da parte aziendale, libertà di opinione, divieto di demansionamento e soprattutto diritto al reintegro nel posto di lavoro nel caso di licenziamento giudicato illegittimo: queste erano le principali regole introdotte dalla legge 20 maggio 1970, numero 300. Lo Statuto (41 articoli divisi in sei titoli) fu messo a punto da una commissione di esperti presieduta da quello che è considerato il padre della riforma, Gino Giugni. Insediata nel 1969 dall’allora ministro del Lavoro Giacomo Brodolini. Alla morte di Brodolini nel luglio 1969, la commissione fu confermata dal nuovo ministro del lavoro, Carlo Donat Cattin. La legge 20 maggio 1970, intitolata ”norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, fu approvata con l’astensione del Pci.
Alcune delle norme (come quelle sul collocamento inserite con l’articolo 33, scritte quando in azienda si entrava soprattutto attraverso una richiesta numerica) sono state le prime ad essere superate, ma lo Statuto ha resistito comunque negli anni soprattutto nella parte sulla libertà sindacale e sulla reintegrazione nel posto di lavoro. Per l’abrogazione della soglia dei 15 dipendenti per il diritto al reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo (le cui regole sono definite nella legge 604 del 1966 a cui lo Statuto rinvia) c’è stata una lunga battaglia condotta dagli industriali quasi venti anni fa, prima di un referendum di Rifondazione comunista al contrario sull’estensione dell’articolo 18.
“Battersi per ottenere un nuovo statuto dei diritti dei lavoratori vuol dire battersi anche per un sistema universale di tutele”, aveva sottolineato il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, intervenendo con un video-messaggio in questa epoca di comizi e manifestazioni in streaming alla diretta organizzata dalla Cgil Puglia in occasione del Primo maggio. “Quest’anno – aveva messo in evidenza Landini – saranno i cinquant’anni dello Statuto dei lavoratori e avvengono nel pieno della pandemia ma anche nel pieno di una precarietà del lavoro e dei diritti che non ha precedenti. Quello che sta emergendo è che questo virus ha fatto venire a galla quelle che sono le fragilità del nostro sistema. In realtà noi in Italia non abbiamo un sistema universale di tutele per i lavoratori e per le lavoratrici”.