L’uccisione di George Floyd negli Stati Uniti continua a creare diverse proteste e scontri con tanto di morti e feriti e ciò che ognuno di noi si chiede (o almeno dovrebbe) è “quanta gente dovrà ancora morire per avere un mondo migliore?” Visto il passo con cui gli eventi si susseguono, si può tranquillamente evincere che questo meccanismo è destinato a durare fino all’estinzione della razza umana.
“Non riesco a respirare”. Sono state queste le ultime parole di George Floyd prima di morire con la testa schiacciata dal ginocchio di Derek Chauvin, ormai ex agente della polizia, ora in carcere con l’accusa dell’omicidio. Sono numerosi i precedenti relativi agli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine, dove uno dei più recenti ci riguarda da vicino ed è il caso di Stefano Cucchi, picchiato dai Carabinieri e lasciato in fin di vita per una settimana, con la famiglia che non ha avuto neanche l’accesso al carcere, impossibilitata nel dare alcun tipo di assistenza quando ancora si poteva fare qualcosa per salvare la vita di questo ragazzo, maltrattato e ucciso per un pò di hashish.
Eppure questi eventi lasciano un segno nei cuori e negli occhi di coloro che si immedesimano per un attimo nelle vittime di questi tristi eventi e da lì partono fuochi d’artificio, mattoni, pietre e bottiglie contro gli ufficiali. Esternazioni di disprezzo dettate dalla rabbia nei confronti di coloro che dovrebbero proteggerci. Anche in alcuni dei principali paesi si sono svolte delle manifestazioni per ricordare George Floyd, per esempio migliaia di persone hanno protestato a Trafalgar Square, a Londra.
Certi gesti oscurano anche la pandemia che stiamo vivendo, perché colpiscono direttamente al cuore e all’orgoglio del cittadino medio, che vede i suoi diritti calpestati come la testa di George Floyd. Proprio quello è il punto focale che fa scattare la scintilla. Se da un lato il mondo è pieno di ignoranti che aspettano solamente di fare baldoria e accanirsi sul prossimo, dall’altro esiste anche il senso civile di coloro che vogliono vedere rispettati i loro diritti e non si tratta solo di questioni razziali, ma di giustizia per tutti.
Tutto ciò vale e avviene non solo quando qualcuno viene ucciso brutalmente, ma anche quando le istituzioni prendono delle decisioni che toccano il cuore dei cittadini. A quel punto nemmeno le norme sul distanziamento sociale e il coronavirus hanno più effetto sul cittadino, che in questi mesi è stato bravo e ha cercato di fare sacrifici, rinunciando al suo lavoro e vivendo a stento chiuso in casa per via del lockdown, costretto ad ascoltare ogni giorno le false dichiarazioni dei governi che non hanno offerto alcun sostegno, ma al contrario hanno tirato fuori la nostra follia più intrinseca.
Da questo punto di vista un esempio chiave è dato da Hong Kong, che in questi giorni pullula di manifestanti che si trovano in disappunto con la legge che criminalizza ogni forma di disprezzo verso l’inno nazionale cinese, con il Parlamento che proprio ieri ha dato ufficialmente il via libera a tale provvedimento.
L’approvazione è maturata dopo una seduta ad alta tensione, nel giorno del 31esimo anniversario dei sanguinosi fatti di piazza Tienanmen, dove nonostante i divieti e le norme sul distanziamento sociale, un centinaio di attivisti ha raggiunto Victoria Park per la veglia dedicata alle vittime della repressione con cui il 4 giugno 1989 l’esercito stroncò con la forza le proteste pro-democrazia, già quella famosa democrazia che oggi tutti nominano ma che ancora stenta a vedersi davvero, tanto che la pacifica protesta è durata poco, giusto il tempo che circa tremila agenti imponessero poco dopo con la forza la loro voce, arrestando i manifestanti e sparando cartucce per disperderli.
Del resto è questo quello che sanno fare i Presidenti maniaci del controllo, tanto che lo stesso Trump per via delle insurrezioni che si sono create per l’uccisione di George Floyd ha più volte minacciato di chiamare in causa l’esercito, un pò come guardare i Simpson e vedere il signor Montgomery Burns dire: “Smithers libera i cani”.