Cosa ha lasciato l’apocalisse della stazione di Viareggio

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Ha colpito quasi quanto il terremoto d’Abruzzo la tragedia che si è consumata nella stazione di Viareggio (Lucca), con il suo tragico bilancio di morte destinato, purtroppo, a salire ancora. Forse ancora di più. La circostanza è ascrivibile al fatto che quasi in tempo reale abbiamo avuto la conferma “visiva” di quello che stava accadendo sulla riviera tirrenica, all’indomani dell’inizio della grande kermesse estiva. I collegamenti televisivi hanno davvero cominciato a funzionare e le riprese erano quasi in tempo reale. Merito – si è detto – della tecnologia, dei telefonini dotati di telecamera; e infatti le riprese più “agghiaccianti” (persone trasformate quasi in torce umane che camminavano per via chiedendo aiuto) sono state filmate proprio dai telefonini.

Così, all’improvviso, ci sentiamo trasformati in tanti “inviati” di testate giornalistiche, come se fossimo sul fronte degli avveniment:, una sorta di Peter Arnett, per quello che fu il bombardamento americano su Bagdad (1991). Abbiamo anche imparato a conoscere il mezzo che è internet: bastava infatti cliccare su “youtube” per assistere (ripeto quasi in diretta) alle immagini che si riferivano all’incidente ferroviario di Viareggio (da un’indagine pubblicata giorni fa la sciagura di Viareggio è stata la più vista nel web).

Segno dei tempi, di guanto la nostra società che viaggia sull’onda della tecnologia e dell’informazione si sia enormemente evoluta permettendoci questo genere di notizie e di informazioni. Ripresa diretta, con qualche commento a caldo scappato all’operatore che rilevava la gravità e la serietà del momento che stava riprendendo. Ma le immagini erano riprodotte sul nostro schermo a centinaia di chilometri di distanza.

Dicevo: il cambiamento dell’informazione e anche un innalzamento del senso civico della nostra popolazione. Il più delle persone che hanno scaricato su internet i loro filmati sono ragazzi: tutti desiderosi di rendersi utili, di scattare una foto, di catturare un ‘immagine (non dico come Robert Capa per lo sbarco in Normandia)che li possa far superare la soglia della fama e della notorietà e che l’immagine facci anche il giro del mondo. Giro del mondo che comunque è stato fatto lo stesso da quei brevi filmati perché gli ingredienti c’erano tutti: il nome celebre della località dove si registrava il sinistro, la tragedia che si stava consumando, la notte che esaltava l’efficace e la rese delle immagini facendo apparire assai bene il fronte delle fiamme disegnate su uno sfondo incredibilmente nero, le morti, i bambini coinvolti, gli extracomunitari e poi la gara di solidarietà che fin da subito è scattata.

Viareggio come L’Aquila, grazie ala televisione, alle riprese internet, al fatto di aver quasi avuto la tragedia in casa grazie ai mezzi tecnologici. Alcune considerazioni che ho la presunzione da sottoporre all’attenzione dei mie dodici lettori: la prima è quella che ha fatto scattare il desiderio nei ragazzi di “riprendere” gli avvenimenti, per un’infinità sì di motivazioni ma anche a fini per così dire educativi-informativi; la seconda (forse più importante della prima) la macchina dei soccorsi e della Protezione civile: ancora una vota un plauso va a quegli uomini ch si sono distinti nelle singole (e varie) operazioni di intervento. Siamo, sì, in un Paese a rischio sismico, ma per fortuna, abbiamo anche i mezzi per intervenire sul posto molto celermente perché a volta la celerità (come ha dimostrato il bambino estratto dalla maceria della sua casa distrutta dalla scoppio) può salvare anche una vita umana. Terzo punto: il governo che è pronto a stanziare fondi necessari alla ricostruzione e a dare una casa nuova a chi se l’è vista distrutta.

Oggi è tempo di interventi, di assistenza alle famiglie colpite: occorre dar loro certezze e la constatazione che nell’attuale momento non sono soli.  Il coinvolgimento emozionale c’è stato: adesso è il momento di operare perché certe cose non avvengano più. Capire le cause, certo. Individuare di chi è la colpa di quel tremendo asse del carrello che ha innestato la miccia. Tutto bene: ma il discorso non dovrebbe finire qui. Deve continuare nell’organizzare la nostra società in modo tale che morti così orrende (si pensi all’apocalisse delle fiamme e di quanti si sono letteralmente consunti non lasciando traccia dei loro corpi) non si ripetano più. Garanzie, sicurezze. E queste le si ottengono non cero continuando a mostrare scene orripilanti ed estremamente realistiche come quelle cui abbiamo assistito, ma facendo appello alla ragione, all’istinto di conservazione che è proprio dell’uomo, alla sua capacità da pianificare interventi che si sposino per la vita e non certo per la morte.

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