In margine all’annuncio di Benedetto XVI di lasciare il soglio pontificio

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Se ne sono scritte di parole attorno alle dimissioni del cardinale Ratzinger dall’investitura che gli proveniva dal conclave. Certo un fulmine a ciel sereno, tanto per usare una immagine che ha fatto il giro del mondo e che vede appunto un fulmine che si abbatte e si scarica a terra passando esattamente dalla cupola della basilica di San Pietro e che è stato oggetto di interpretazioni soprannaturali, come, stando a una tradizione classica, ci avevano abituato i poemi omerici: l’ira di Zeus si scagliava addosso alle iniquità perpetrate dagli uomini. Oppure per esternare un giudizio della Divinità dell’Olimpo non certo favorevole rispetto a quanto si stava consumando su questa Terra, fra comuni mortali. Non leggiamoci oltre a quello che in realtà è, senza spingerci in avanti con interpretazioni catastrofistiche. A me, semmai, la decisione assunta dal cardinale Ratzinger è stata pregevole sotto certi aspetti che annoterò e esemplificherò. Ma prima di tutto mi sento in dovere di ringraziarlo. Semplicemente perché mi ha reso testimone di un evento “storico” nel cammino dell’umanità e della Chiesa Romana Cattolica. Se è vero (come a tutti gli effetti lo è) che per cercare un precedente occorre risalire a circa settecento anni fa. Quindi testimone oculare di un episodio che ha fatto (o meglio che farà) storia e che obbliga la Santa Sede a barcamenarsi attorno a due figure che, in contemporanea e tutte e due viventi, sono saliti sullo scranno di Pietro, il primo degli Apostoli. Anche se già sappiamo quale sarà la strada che percorrerà il cardinale tedesco dimissionario, tuttavia sarà sempre lì, nella Città del Vaticano, sia pure in un convento di clausura per seguire le sorti ella chiesa universale in preghiera e in meditazione. Perché mi ha fatto capire come siano affascinanti i “giochi” della storia, in cui assistiamo a eventi universali come le dimissioni di un pontefice che restituisce la tiara che si intrecciano a storia invece particolari, soggettive, individuali che riguardano noi, esseri viventi. La Grande Storia e la Storia personale. Papa Ratzinger mi ha offerto la possibilità di ragionare sopra questi termini, nella convinzione che le cronache giornalistiche che oggi ho letto dai quotidiani, sono già storia e che essa è storia universale, nel senso che è condivisa da milioni di esseri che affollano il Pianeta. Devo esser grato a questo al Papa che alla fine di questo mese non sarà più tale. Prima di tutto, a questo: avermi fatto sentire partecipe e testimone di un evento storico. Ne erano già avvenuti tanto in passato, come l’elezione del primo presidente della superpotenza mondiale Usa di colore; oppure l’abbattimento del muro di Berlino o infine la sfaldamento ella grande illusione della Rivoluzione Russa. Ma questo evento ha di fatto superato di gran lunga tutti gli altri. Perfino lo sbarco del primo uomo sulla Luna. E l’annuncio (per questo mi sento di ringraziare Sua Santità) è arrivato al mondo attraverso la lingua morta, il latino, a dispetto dell’inglese ritenuta la lingua universale e capita da tutto il mondo. Mi sento poi di ringraziarlo per la lezione di umiltà che ha inteso darmi; ci vuole del coraggio e del fegato per fare quanto lui ha fatto, esporsi così alle reprimende del Vaticano. Ma le sue ragioni sono reali e condivise: non ha più la forza materiale, fisica e spirituale per condurre la barca della chiesa inserita in un mondo in eterna e spasmodica trasformazione. Ci vuole molta energia per stare fermi al timone e non farsi capovolgere al fortunale. E ancora un grazie per aver lanciato al mondo geriatrico (che a tutt’oggi gestisce il potere e governa stati e multinazionali) che bisogna fare i conti con le nostre forze e sapere quando è giunto il momento che dobbiamo in buon ordine tirarci fuori dalla mischia che forse altri, più vigorosi di noi potrebbero anche far meglio. E invece, proprio a ridosso delle elezioni per il rinnovo del parlamento, quanti ancora si presentano freschi e disposti a scendere in agone politico, dopo essere stati per decenni alla guida del Paese! Lei, Sua Santità, si è messa da parte e a preferito lasciare il passo ad altre forze. Forse qualcuno intravedrà in questo un momento di debolezza, un voler consegnare le armi prima che la guerra abbia recitato il suo ultimo atto. Non è vigliaccheria o viltà: è presa di coscienza che alla fine si evince a favore dell’intera ecclesia. Questi sono gli appunti che intendevo annotare a margine della decisione di lasciare il soglio pontificio

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