Londra – I paesi dell’UE non riescono a contrastare la criminalità organizzata: il numero di persone che sono sfruttate nella prostituzione o nel lavoro forzato è aumentata a passi da gigante nella UE negli ultimi anni.
Il risultato del primo studio globale dell’UE sulla tratta di esseri umani pubblicato dal quotidiano berlinese “Welt am Sonntag” è scioccante: sempre più persone sono sfruttate come prostitute e come lavoratori forzati il primo è aumentato tra il 2008 e il 2010 del 18 per cento mentre il secondo si è passati dai 6309 ai 9528 anno. Domani Cecilia Malmström, commissaria dell’UE degli Affari interni, dovrà presentare la relazione a Bruxelles.
Il numero dei trafficanti condannati è calato notevolmente, contraendosi negli anni di riferimento del 13 per cento, dai 1.534 nel 2008 ai 1339 nel 2010. In Italia, le condanne sono diminuite di ben il 15 per cento. Il 70 per cento delle vittime sono donne e ragazze. La direttiva europea è intesa a combattere il traffico di esseri umani in modo efficace e rafforzare i diritti delle vittime.
Finora la hanno pienamente attuata solo cinque dei 27 Paesi membri.
La maggior parte delle vittime (61 per cento) provengono da paesi dell’Unione Europea, soprattutto da Romania e Bulgaria, seguita da Africa e Sud America. La Commissione europea stima che queste cifre sono solo la punta di un iceberg.
Per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, il traffico di esseri umani è intorno a noi, più vicino di quanto pensiamo. Non si creda che la schiavitù sia quella dei film d’avventura o di qualche libro famoso, con catene di ferro alle caviglie e stive di navi negriere.
La schiavitù esiste ancor oggi: ha le sue aree di raccolta, le sue vie di transito, le sue connessioni malavitose ed i suoi approdi sulle strade del mondo “civile”.
La tratta si è perpetuata nei secoli con una connotazione universale: trarre profitto dalla debolezza altrui. Essa risponde alle richieste di un ignobile mercato pedofilo cresciuto sui social network, sul mercato illegale del lavoro dove il clandestino è la vittima immolata, anche minorile, senza tutela e senza diritti, essa ha il nome dello sfruttamento della donna, tratta dalla povertà dei paesi d’origine con la promessa di un lavoro ed inviata invece sulla strada della prostituzione, privata di ogni libertà personale, esposta ad ogni arbitrio, merce di scambio fra i criminali che ne reggono il mercato prima ancora che triste commercio umano.
Si tratta di anelli diversi di una dolente catena, che spesso è intrisa di sangue e sempre di sofferenza, che originano per lo più dalla povertà e dalla marginalità di persone, le quali, per la loro intrinseca debolezza, sono esposte ad ogni ricatto o malversazione.
E’ una realtà di persone deboli, indifese, violate, schiavizzate, spogliate di ogni soggettiva dignità ad opera di strutture criminose che prosperano su questo mercato che reclama ogni impegno personale e pubblico perché la persona possa riemergere come responsabile della propria vita e della sua dignità e come attore dei valori di libertà dai quali è stata espropriata.