“Guerra Iran – Usa più vicina, ma non sarà di tipo convenzionale”

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Dopo l’assassinio del generale Qassem Soleimani in un raid effettuato con dei droni, si fa più concreto lo spettro di una guerra tra USA e Iran. A dirlo è un’analista dell’università SOAS di Londra, Soraya Lennie, esperta di Medio Oriente.

Non ci sono, a suo dire, molte opzioni per una de-escalation della tensione. “L’Iran è uno stato razionale. Tuttavia, data l’immensa pressione esercitata da attori estremisti a livello nazionale – ma anche all’estero, se si pensa a Hezbollah – [l’Iran] dovrà davvero fare i conti con un qualche tipo di vendetta, se deciderà effettivamente di vendicarsi”.

“Si potrebbe pensare che nessuno voglia la guerra, ma come abbiamo visto negli ultimi due anni ci sono alcuni attori all’interno della regione che stanno davvero spingendo gli Stati Uniti verso il conflitto. Una realtà che si è fatta più concreta con l’elezione di Donald Trump e, ora, con l’uccisione di Qasem Soleimani”.

“L’Iran aveva davvero scommesso sull’accordo nucleare da cui gli Stati Uniti si sono ritirati, e questo ha eroso gran parte del capitale critico in mano ai riformisti che cercano la via diplomatica. Quindi non vedo molte strade positive da imboccare per disinnescare questa crisi”.

L’esperta riconosce come l’Iran non possa competere militarmente con gli Stati Uniti in una guerra convenzionale. Tuttavia, “sa fare bene la guerra asimmetrica”.

“L’Iran ha trascorso molti anni – in particolare dalla rivoluzione del 1979 – a lavorare per costruirsi un capitale in Stati come Libano, Siria e Iraq – luoghi in cui gli Stati Uniti non possono fare altrettanto, a prescindere da questioni economiche o di armamenti”.

“È proprio a questo capitale che l’Iran può attingere. Se ci dovesse essere una qualche guerra, non me l’aspetto necessariamente di tipo convenzionale. L’Iran potrebbe sfruttare i suoi proxy nella regione per fare pressione sugli asset americani. Penso gli Stati Uniti se lo aspettino: l’ambasciata americana in Iraq ha già detto comunicato al personale e ai cittadini statunitensi di lasciare il Paese”.

 

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