Chi è Nicola Gratteri, il magistrato che lotta contro la mafia più potente del mondo

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Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, non ha mai smesso di essere nel mirino della ndrangheta. Ci sarebbe un “allarme credibile e circostanziato” dietro la decisione di innalzare il livello della protezione di cui gode il procuratore della Dda di Catanzaro.

Il pm calabrese viaggia ormai su Jeep corazzate e le finestre del suo ufficio, che si affaccia piazza “Falcone e Borsellino”, verranno presto blindate. In un’intercettazione che risale all’anno scorso, il magistrato – paragonato proprio al giudice Falcone – era stato definito “un morto che cammina” dai clan.

Nicola Gratteri è un magistrato abituato a stupire, tanto che in passato ha proposto perfino di smantellare la Direzione investigativa antimafia – proprio la creatura di Falcone – per restituire gli agenti ai rispettivi corpi d’appartenenza e fare fronte ai vuoti d’organico.

Si autodefinisce un “infiltrato in magistratura”, come si legge sul Foglio: mai iscritto a correnti, all’interno della burocrazia togata il suo è il profilo del battitore libero.

L’ultima delle operazioni da lui dirette, “Rinascita-Scott”, ha svelato gli intrecci tra politica, massoneria e mafia, smantellando la cosca Mancuso che controlla la provincia di Vibo Valentia ed estende i suoi tentacoli anche lontano dalla Calabria. Un’indagine per il quale il magistrato è stato attaccato anche da alcuni politici e colleghi. Il procuratore generale di Catanzaro, Otello Lupacchini, in una intervista tv ha bollato le inchieste di Gratteri come “inconcludenti”, venendo per questo proposto, al CSM, per un trasferimento d’ufficio.

Gli attacchi ripetuti più che piegarlo, hanno fatto sorgere una spontanea e autentica solidarietâ popolare nei suoi confronti: all’indomani degli arresti di “Rinascita-Scott” migliaia di persone si sono raccolte davanti al commissariato di Vibo Valentia per “ringraziare la procura”, e qualche settimana dopo altre migliaia hanno dato vita a un flash-mob davanti al Palazzo di Giustizia, questa volta “per proteggerlo” da chi vuol fermarlo.

Nato a Gerace nel 1958 e in magistratura dal 1986, terzo di cinque figli, nel 2016 è stato nominato all’unanimità dal CSM al posto di Procuratore della DDA di Catanzaro, proveniente dalla procura di Reggio Calabria. Nella sua carriera si è occupato di indagini come quella sulla faida di San Luca – una catena di omicidi che ha insanguinato l’Aspromonte dal 1991 al 2006 – e sulla strage di Duisburg.

Al liceo di Locri al suo compagno di banco avevano ammazzato il padre in un agguato di mafia, ricorda in La Malapianta, una conversazione con Antonio Nicaso. “In classe c’era anche la figlia di un boss”, mentre “un compagno di giochi me lo sono trovato di fronte a un’aula di tribunale”. In casa la polizia gli aveva trovato un arsenale, e lo stesso Gratteri chiese e ottenne la sua condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso.

Nel 1974 dopo un incidente stradale finisce in coma per 12 giorni e passa tre mesi senza poter camminare. Viene folgorato dalla legalità ascoltando i ragionamenti dello zio Antonino, fratello della madre, sul letto di morte per un tumore al pancreas, e così si iscrive all’università di Catania “per evitare Messina, dove si erano iscritti molti amici e conoscenti della Locride”.

Dopo aver vinto il concorso in magistratura, sceglie di restare in Calabria nonostante ci fossero posti vacanti al nord. La sua prima indagine provoca le dimissioni dell’assessore alla Forestazione e cadere la Giunta regionale, e già iniziano ad arrivare minacce e lettere minatorie. Contro l’abitazione della fidanzata vengono esplosi alcuni colpi di pistola, le dicono che sta per sposare “un uomo morto”.

Nel 1989, a tre anni dall’entrata in servizio, gli viene assegnata la scorta. Nel 2005, due ndranghetisti vengono intercettati mentre discutono nel carcere di Melfi di come farlo saltare in aria assieme alla sua scorta. Qualche giorno dopo, nella piana di Gioia Tauro, viene scoperto un arsenale: pistole, lanciarazzi, kalashnikov, un chilo di plastico e bombe a mano. L’anno prima il Sismi aveva segnalato il rischio di un attacco al magistrato di Reggio Calabria. E per questo motivo la scorta a Gratteri era stata potenziata.

Bollato dai suoi critici come un “integralista della moralità”, si batte per l’introduzione nel processo penale delle nuove tecnologie per rendere più economica ed efficiente la macchina della giustizia senza abbassare il livello di garanzie a tutela deglii indagati e per eliminare il brodo di coltura della criminalità organizzata “non rendendo più conveniente delinquere”, come ama ripetere.

Non fa un bagno al mare da quindici anni e in campagna guida il trattore circondato dagli agenti. “Negli ultimi 20 anni non sono mai entrato in un cinema, né ho potuto seguire una partita di calcio allo stadio o fare una passeggiata sul corso”, si legge in La Malapianta. “Ma a due cose non ho mai rinunciato. La prima è coltivare la terra. La seconda è andare nelle scuole per spiegare ai giovani perché non conviene essere ndranghetisti”.

 

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