Turni estenuanti, pazienti non solo anziani ma di ogni età che improvvisamente peggiorano “senza vi sia apparente ragione”, a causa di un virus che sembra non seguire alcuno “schema preciso”: è il racconto di quella che ormai è diventata la quotidianità di un sanitario del San Gerardo di Monza nel tempo del Coronavirus, che ha il potere anche di dividere le famiglie.
“Sarebbe bello avere il modo di mettere in contatto i pazienti in rianimazione e i loro cari, ma purtroppo non c’è”, ha spiegato. I pazienti sono in isolamento e “quando senza alcun motivo sensato improvvisamente i polmoni smettono di funzionare, come si spegnessero, a volte senza che si riesca a recuperare la situazione, non c’è tempo di pensare alle chiamate” Non ci sono i tablet . E anche le mascherine scarseggiano. “Diciamo che non ce ne sono sempre e sono sempre meno”, ha proseguito l’infermiere, “e da quando è stato deciso di sospenderci i tamponi, molti di noi vivono soli, dopo aver mandato le famiglie a casa di amici e parenti, per non metterli a rischio, ed è molto dura”.
Per gli infermieri, come ha raccontato il professionista monzese, “la sicurezza non è garantita perché la tutela decimerebbe le presenze, un sacrificio che anche se è difficile da accettare, se non lo facciamo noi chi lo fa?”. Il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri impone di restare a casa ma “evidentemente in molti non lo comprendono ancora, e la nostra è una preghiera, dopo la richiesta gentile, forse troppo, dello Stato”, ha continuato il professionista “se le indicazioni verranno rispettate forse tra venti, trenta giorni vedremo un miglioramento”. Questa sera, per lui come i suoi colleghi, si apre un’altra nottata: “il momento peggiore, perché siamo in pochi, la stanchezza pesa e c’è tanto silenzio”.