Londra – Bacini marini tra loro scollegati subiscono in modo pressoché sincrono rapidi cambiamenti che coinvolgono i loro ecosistemi. È quanto evidenzia il lavoro Synchronous marine pelagic regime shifts in the Northern Hemisphere di Alessandra Conversi, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) e associata all’Università di Plymouth in UK.
L’articolo è contenuto nella pubblicazione Marine regime shifts around the globe: theory, drivers, and impacts per un’edizione speciale della rivista Philosophical Transactions B of the Royal Society britannica, di cui Alessandra Conversi è lead guest editor e che raccoglie 16 lavori di oltre 80 esperti da sei continenti, tra i quali tre della ricercatrice Cnr.
I ricercatori hanno compilato 11 banche dati marine multidecennali (1960-2005) delle popolazioni zooplanctoniche provenienti da due oceani (Atlantico e Pacifico) e tre mari (Mediterraneano, Nord e Baltico). “Abbiamo analizzato i tre principali componenti, considerati indicatori dello stato biologico di ogni sistema, e identificato i loro anni di shift, cioè di ‘salto’”, spiega Conversi, “constatando che tra il 1987 e il 1990 tali cambiamenti repentini si sono verificati in ben sette degli undici bacini analizzati, tra cui nord Adriatico, Mare del Nord, Mar Baltico, Atlantico nord-occidentale e Pacifico nord-orientale”. Il lavoro indica dunque una ‘quasi-sincronicità’ (non essendo l’anno del cambiamento identico) tra sistemi marini fra loro non comunicanti.
Ma qual è la causa di questi fenomeni? “Una parte della comunità scientifica pensa che a provocare gli shift siano fattori locali antropici, come la pesca o l’inquinamento. Anche se questo può avvenire in molti casi, secondo noi i cambiamenti ecosistemici avvenuti in particolare a fine anni ‘80 nei vari mari e oceani sono stati causati da un salto nell’innalzamento della temperatura nord-emisferica avvenuto intorno al 1987, possibilmente modulato dall’oscillazione artica”, puntualizza la ricercatrice dell’Ismar-Cnr. “Queste due variabili coinvolgono l’intero emisfero del nord ed hanno la capacità di influenzare gli ecosistemi pelagici: la temperatura sta aumentando nella maggioranza dei bacini marini, influenzando particolarmente le specie che sono ormai ai limiti della loro tolleranza termica, nonché l’intera catena trofica, mentre l’oscillazione artica influenza il sistema circolatorio atlantico e pacifico e il rispettivo trasporto di plancton”.
Si tratta di un risultato molto importante dal punto di vista sia teorico che pratico: “Per la prima volta viene testata l’ipotesi di ‘teleconnessioni’ di tipo biologico nei sistemi pelagici: un fenomeno suggerito da alcuni lavori ma finora non definito in ecologia né considerato nei modelli di scenari globale. La possibilità, se confermata con ulteriori studi, porterebbe ad una revisione delle attuali idee di come funzionano gli ecosistemi marini anche in rapporto ai cambiamenti climatici”, conclude Conversi. “È da notare che nei 45 anni investigati in questo lavoro la temperatura media globale è aumentata di meno di un grado °C, mentre nell’ultimo IPCC (5th Assessment Report) si prevede un innalzamento di temperatura entro il 2100 da meno di due fino a 3-5 °C, per cui nel futuro ci si aspettano fenomeni di ‘shift’ più frequenti e intensi”.
Gli altri due articoli della ricercatrice nell’edizione speciale sono A holistic view of marine regime shifts that spans multiple ecosystems and stressors, e Marine regime shifts around the globe: theory, drivers, and impacts.