Il generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso dal raid americano venerdì, era una delle più note figure della teocrazia sciita, icona della Rivoluzione e simbolo di resistenza a quattro decenni di tensioni diplomatiche con gli Stati Uniti. Sopravvissuto all’orrore della lunga guerra contro l’Iraq degli anni ’80, creò e assunse il controllo della Forza d’élite della Guardia Rivoluzionaria Al Quds: era il responsabile delle campagne estere della Repubblica Islamica.
Si tratta di un’unità speciale del corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica (i Pasdaran iraniani, che rispondono alla Guida suprema in persona). I reparti, perlopiù squadre di élite dall’alta specializzazione, sono responsabili delle operazioni militari e tattiche al di fuori del Paese. Lo stesso generale era tra le figure più potenti e rispettate della Repubblica islamica, era considerato un fine stratega militare ed era legato a doppio filo a Khamenei.
Gli Stati Uniti e Israele lo considerano responsabile della morte di truppe americane in Iraq.
Relativamente sconosciuto in Iran fino all’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003, la popolarità (anche mistica) di Soleimani è cresciuta di pari passo alla volontà americana di farlo fuori.
Tre lustri dopo, sopravvissuto a diversi tentativi di uccisione, Soleimani era diventato il più famoso militare iraniano, ignorando ogni richiesta di entrare in politica.
Il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, lo ha definito un “martire vivente della rivoluzione”. “Il fronte di guerra è il paradiso perduto dell’umanità”, disse Soleimani in un’intervista del 2009.
Dichiarato morto diverse volte – nel 2006, nel 2012 e nel 2015 – era nato l’11 marzo 1957. Cresciuto in una zona montagnosa nei pressi del villaggio di Rabor – famosa per le sue foreste, le sue culture d’albicocche, noci e pesche e per il coraggio dei suoi soldati – poco si sa della sua infanzia. I racconti iraniani suggeriscono che il padre fosse un contadino che, sotto lo scià Mohammad Reza Pahlavi, ricevette un pezzo di terra, ma che finì oberato dai debiti.
All’età di 13 anni, Soleimani iniziò quindi a lavorare nell’edilizia, per aiutare il padre. Con la rivoluzione islamica del 1979, che tolse il potere allo scià, Soleimani si unì alla Guardia rivoluzionaria, schierata nel nord-ovest dell’Iran per reprimere i disordini curdi. Durante la guerra contro l’Iraq, l’unità di Soleimani fu attaccata, come altre, con raid chimici dalle truppe di Saddam Hussein. Ebbe il coraggio di schierarsi contro la carneficina “senza senso” di quella guerra ma, allo stesso tempo, spronò con ardore i suoi a combattere, abbracciandoli uno a uno.
Dopo la guerra, Soleimani scomparve per diversi anni, forse per dei dissapori con Hashemi Rafsanjani, che sarebbe diventato presidente della Repubblica islamica dal 1989 al 1997. Con l’uscita di scena di Rafsanjani, Soleimani assunse il ruolo di capo delle unità speciali Quds e si avvicinò così tanto a Khamenei, che fu la stessa Guida Suprema a celebrare il matrimonio della figlia del generale.
Era nella lista delle sanzioni americane dal 2007 ma, ciononostante, i suoi viaggi sono continuati indisturbati. Nel 2011, funzionari statunitensi lo ritennero responsabile di uno stravagante complotto della forza Al Quds, per contrattare un presunto narco-assassino messicano al fine di uccidere un diplomatico saudita.
Ma la sua grande notorietà viene dalla guerra civile siriana e dal suo dispiegamento contro lo Stato Islamico. Diverse vittorie delle truppe di terra irachene sono state accompagnate da fotografie, in cui si vede Soleimani alla guida dei soldati senza giubbotto antiproiettile. “Soleimani ci ha insegnato che la morte è l’inizio della vita, non la fine”, le parole di un comandante miliziano iracheno.
Se Soleimani era il generale più importante della Guardia, è pur vero che sono molti tra le fila dell’esercito iraniano ad avere l’esperienza necessaria per rimpiazzarlo e condurre gli attacchi asimmetrici per procura, per i quali l’Iran è diventato noto.
Hessameddin Ashena, consigliere del presidente iraniano Hassan Rouhani, ha scritto su Telegram che “chiunque abbia messo il piede oltre la linea rossa dovrà essere pronto ad affrontarne le conseguenze”.